Randagio è l’eroe – Giovanni Arpino

Altissime colonne di zolfo reggevano pallidamente il crepuscolo di quell’ultima estate.

Incipit Randagio è l’eroe

Altissime colonne di zolfo reggevano pallidamente il crepuscolo di quell’ultima estate. Irregolari cubi di polvere le case, mitragliate da un’infinità occhiaie cieche. Nei vuoti del cielo rari guizzi d’uccelli come traiettorie di spade duellanti invisibili. Ora vicine ora remote, dallo sporco muggito uniforme della città, su per le vene di mille strade deserte, arrivavano esplosioni, secchissime e brevi: talvolta potevano non essere spari.
L’uomo immerse lentamente due dita nel catino d’acqua sul balcone. Le ritirò poi con calcolata pigrizia senza smuovere una sola goccia.
La donna approvava.
Le rispose con un dolce mugolio in gola.

Incipit tratto da:
Titolo: Randagio è l’eroe
Autore: Giovanni Arpino
Casa editrice: Rizzoli

Libri di Giovanni Arpino

Copertine di Randagio è l'eroe di Giovanni Arpino

Quarta di copertina / Trama

Questo romanzo è nato dopo quasi tre anni di consunzione (non posso usare il termine “lavoro”, estraneo alla fatica narrativa, che è tale se è felice). è maturato fino a sradicarsi dall’embrione originario, fino a dimenticarlo: tra la primavera e l’estate del ‘71 – per esempio – capii di dover stracciare circa cento pagine che per molto tempo m’erano parse funzionali e che invece, cariche di “fatti” avrebbero soltanto intralciato la portata ideologica di questa “storia”.
Come narratore, so di aver costruito, su e giù per romanzi e racconti, vicende e personaggi calati in un magma esistenziale (tranne forse che in Una nuvola d’ira, del ‘62). è stato, per anni, un impegno naturale, stimolante ma quasi mai difficile da assolvere. Ed ero arrivato al punto in cui il mestiere consente di “fare” e “inventare” indipendentemente dal “credere”, che per l’uomo di romanzo è ancora condizione primaria.
I personaggi e le avventure di Randagio è l’eroe mi hanno restituito a un cimento feroce. Ho dovuto lottare con Giuan e Olona per non cedergli ma anche per non costringerli a diventare ciò che essi non volevano. E nello stesso tempo ho dovuto “scalpellare” ogni frase perché il romanzo avanzasse secondo i propositi: cioè una vicenda umana conclusa, fulminea come ritmo, densa e proporzionata come un poemetto. Queste – ovviamente – erano le intenzioni, le ambizioni.
Ho cercato di scolpire più che dipingere, di togliere fino all’osso più che cedere alla seduzione romanzesca. Che Giuan e Olona (magari per contrasto) rassomiglino, come ogni personaggio, al loro autore, è congettura tradizionale e anche banale: spero solo che riescano a dimostrare la loro realtà, la loro necessità.
Spero che aiutino a credere in una narrativa non sfatta, non esangue e ripiegata sul proprio ombelico. Spero che offrano un simbolo strappato al fermento doloroso del mondo, dei nostri anni, come dovrebbe essere compito – semplice ma profetico – d’un romanzo, oggi.
(Ed. Rizzoli; La scala)

Premio Campiello 1972

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Il buio e il miele – Giovanni Arpino

Incipit Il buio e il miele

C’era un grosso moscone dorato che ronzava lungo la finestra del pianerottolo, i muri odoravano di tanta fresca, con un virata improvvisa il moscone mordendo felicemente l’aria individuò lo spiraglio tra i vetri socchiusi, sparì. Mi affacciai anch’io per buttare la cicca. Il cortile sotto era deserto, due magre spanne di cemento nel sole di fine agosto. Più lontano, il verde consunto delle colline oltre il fiume sfumava in un cielo opaco. Con le mani controllai la bustina ben ferma sulla fronte, il nodo e la giusta caduta della cravatta, prima di suonare.

Incipit tratto da:
Titolo: Il buio e il miele
Autore: Giovanni Arpino
Casa editrice: Òmicron

Libri di Giovanni Arpino

Copertine di Il buio e il miele di Giovanni Arpino

Quarta di copertina / Trama

L’affascinante romanzo di Arpino, da cui è stato tratto il famoso film “Profumo di donna”, racconta l’amicizia tra un ragazzo e un adulto, ricca di sfumature psicologiche e di umanità, che ci fa intravedere una possibilità di incontro tra mondi apparentemente inconciliabili. Un classico della letteratura italiana che ha segnato un’importante tappa verso una narrativa di respiro europeo.
(Ed. Òmicron; Nuova Officina)

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Da questo romanzo il film Profumo di donna per la regia di Dino Risi (1974)

Azzurro Tenebra – Giovanni Arpino

C’era una luce viperina nelle chiome degli alberi ritagliati contro il tramonto.

Incipit Azzurro Tenebra

C’era una luce viperina nelle chiome degli alberi ritagliati contro il tramonto. E Arp pensava: crepate tutti, avessi la forza di accopparvi, pietoso anche ma convinto, potessi cancellarvi dal primo all’ultimo, uomini e donne neonati, infame marmaglia che impesti il Pianeta.
«Buono, Arp. Non fare l’energumeno. Non farti tornare la mania omicida» sogghignò il Vecio. Perché il Vecio possedeva la bizzarra qualità d’indovinare gli umori storti altrui.
«Zitto tu. Non sono un tuo centravanti» brontolò Arp.
Il Vecio scosse la mutria, rassegnato. Sembrava triste, ma se appena scopriva i denti in un sorriso, ecco che poteva incutere paura. In quell’attimo il volto, pur buono, avrebbe allontanato qualsiasi bullo da caffè: un calcio, durante lontane risse in area di rigore, aveva schiacciato il setto nasale del Vecio, che ora ostentava la maschera sorniona di un pugile in guardia perenne.

Incipit tratto da:
Titolo: Azzurro Tenebra
Autore: Giovanni Arpino
Casa editrice: Rizzoli

Libri di Giovanni Arpino

Copertine di Azzurro Tenebra di Giovanni Arpino

Quarta di copertina / Trama

Stoccarda, giugno 1974, Mondiali di calcio: nonostante campioni come Riva, Mazzola, Rivera, Facchetti e Zoff, la nostra nazionale viene eliminata al primo turno, in mondovisione e sotto gli occhi attoniti di migliaia di emigrati italiani. Protagonista autobiografico di Azzurro tenebra è un inviato speciale che si firma “Arp” e assiste alla disfatta insieme al giovane cronista-scudiero “Bibì”, come un Don Chisciotte del giornalismo affiancato dall’immancabile Sancho. Testimoni di un evento sportivo che presto assume i toni del grottesco, i due uomini sanno leggere in filigrana dentro quello che solo uno sguardo superficiale potrebbe archiviare come “niente altro che calcio”, e vi scorgono il destino desolante di un Paese già votato allo scacco e a un malinconico tramonto. Scritto a muscoli tesi, con estro espressionista, il libro, uno dei più belli e sofferti di Giovanni Arpino, si trasforma pagina dopo pagina nel glaciale referto di un doppio fallimento: la sconfitta sul campo e l’insufficienza estetica del gioco degli azzurri rispecchiano la generale carenza di etica e la miseria della condizione politica nel Paese.
(Ed. Rizzoli; BUR Scrittori Contemporanei)

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