Incipit Sono felice, dove ho sbagliato?
Quelli che parlano d’amore sono convinti di sapere tutto dell’amore. Perché pensano che la loro esperienza faccia testo. Io questa cosa non me la spiego. L’idea che le proprie faccende d’amore abbiano l’autorevolezza del vissuto, voglio dire. Come se il vissuto dei parlatori d’amore (che infatti nei discorsi infilano sempre la parola «vita»: «Si tratta della mia vita», «Ormai è fuori dalla mia vita», «Ho messo la mia vita nelle sue mani e guarda come mi ha ripagato» ecc.) fosse una specie di precedente giurisprudenziale che fa stato nelle faccende amorose degli altri.
Incipit tratto da:
D’accordo, non esiste una laurea in amore (anche se ci sono dei corsi di grammatica e sintassi amorosa con ausilio di specifici romanzi, come se poi i romanzi fossero bugiardini da consultare al bisogno), ma questo non vuol dire che tutti possono pontificare sul tema. Anche perché l’amore non è un tema.
Soprattutto, quelli che parlano d’amore (il loro) sono convinti che lo spiegone ti interessi. Non li sfiora neanche l’idea che tu stia fingendo di ascoltarli mentre in testa ti è partita una fuga di massa dei pensieri che vanno alla ricerca disperata di uscite di sicurezza e frugano nella memoria a casaccio riesumando supplenti di matematica, compagni di scuola di cui hai dimenticato il nome o non l’hai mai saputo, un condomino che non saluta, una cyclette mai usata che forse è ancora a casa dei tuoi, fidanzate stronze, il giorno della tua laurea, Lilli Gruber, pasta patate e provola, King Kong, la prima volta che hai pagato in euro, il setter irlandese di una vicina che somiglia in maniera impressionante a Jeremy Irons. No, loro proseguono imperterriti, espongono, argomentano, commentano, divagano; e non lo fanno perché sono spinti da un bisogno di confidarsi (che almeno avrebbe la nobiltà della richiesta d’aiuto), non ci tengono a raccontarti i fatti loro, non sono pettegoli in quel senso. Quello che vogliono è testarti come uditore per brevettare le loro teorie, qualora superassi la prova da sforzo.
Titolo: Sono felice, dove ho sbagliato?
Autore: Diego De Silva
Casa editrice: Einaudi
Quarta di copertina / Trama
Vincenzo Malinconico è tornato ed è alle prese con un’ingiusta causa. D’amore. Già, c’è di mezzo l’amore anche stavolta, ma un tipo d’amore con cui Malinconico non ha avuto ancora a che fare, professionalmente parlando: l’amore impantanato, quello di chi pensa di avere diritto a un risarcimento per il dolore. Perché è proprio questo che gli chiedono gli Impantanati, sei donne e due uomini uniti in una strampalata associazione: di intentare una causa epocale per danni da sinistri sentimentali. E l’assurdo può sembrare a tratti possibile, al piú eccentrico avvocato d’insuccesso di sempre.
L’amore può ingolfare una vita, metterla in attesa, in balia degli anni che passano. Tutti conosciamo coppie sfinite da rapporti senza futuro: amori dove i progetti, i desideri e persino i diritti ristagnano. A volte è proprio il legame, il problema. I rapporti di forza, il tempo sul groppone, il presente che dà dipendenza. Poi capita che una mattina la parte debole si svegli e decida che è venuto il momento di fare i conti. È quello che succede nella sesta avventura di Vincenzo Malinconico, l’avvocato delle cause perse ancor prima d’essere discusse, quando Veronica, la sua compagna, gli manda in studio una coppia di amici che gli chiedono d’intentare, con una class action, una causa epocale per l’infelicità di coppia. La pretesa dei due, apparentemente demenziale (ma Malinconico è avvezzo a questo genere di situazioni), si basa su un assunto neanche cosí sbagliato: se esiste un diritto privato, perché la sfera privata dei sentimenti non dovrebbe andare soggetta alla stessa legge che regola i rapporti patrimoniali? Fosse per Malinconico la chiuderebbe lí, anche perché ha altro di cui occuparsi (Alagia che sta per farlo diventare nonno, Alfredo in fibrillazione per il suo primo cortometraggio, uno strano figuro che lo pedina), ma finisce per cedere alle insistenze del suo socio Benny e si ritrova a partecipare con lui agli incontri degli Impantanati. E noi lo sappiamo bene: quando Malinconico si fa trascinare in una situazione che gli sta stretta, sbrocca ma riesce persino a divertirsi. Sicuramente a farci divertire come non mai, in questo che è uno dei romanzi piú mossi e vivi di Diego De Silva. Fra risate, battibecchi, colpi di scena e ordinarie drammaturgie familiari, Malinconico riuscirà ad articolare una stralunata difesa. Ma di se stesso, soprattutto.
(Ed. Einaudi; I coralli)