Incipit Kafka. Un mondo di verità
Qui è possibile leggere le prime pagine di Kafka Un mondo di veritàC’è un uomo alla scrivania. Un uomo è chino sulla scrivania a tarda notte, nella sua stanza della casa paterna benché abbia quasi trent’anni. Il tavolo presso cui lavora è piuttosto semplice ma non privo d’eleganza: un secrétaire in legno dalle gambe aguzze, dotato di pratici cassetti superiori e inferiori – «una scrivania di buoni sentimenti borghesi che deve educare», scherzava da ragazzo con l’amico Oskar Pollak.
Incipit tratto da:
Ma non vi scrive nulla di borghese, anzi. Dopo le dieci di sera, quando il resto della famiglia è a letto e finalmente la casa è in uno stato di relativo silenzio, l’uomo estrae quaderni in ottavo dalle copertine nere e marroni e comincia ad annotare; se fa troppo freddo o sente ancora baccano – la sua camera è posizionata fra quella dei genitori e il salotto, con una porta in vetro opaco che lascia filtrare rumore e luce – si trasferisce in sala con penna e calamaio. Resta così fino all’una, le due, talora fino all’alba.
L’uomo è abituato a passare l’intera giornata in una posizione simile, in ufficio, ma per quanto complesso sia il lavoro – è un abile professionista del ramo assicurativo – non può creare la medesima tensione. Durante le ore diurne trascina il suo corpo in giro per Praga, aspettando il momento in cui potrà dedicarsi a quanto ha di più caro: tentare di scrivere righe che abbiano una propria necessità assoluta, una verità interiore.
Titolo: Kafka. Un mondo di verità
Autore: Giorgio Fontana
Casa editrice: Sellerio
In copertina: Frank Kafka, ritratto di Friedrich Feigl, 1946
Quarta di copertina / Trama
«Ci sono istanti in cui le sue pagine sembrano realmente guardarci, leggerci nel profondo e non viceversa: le immagini ci dominano, ne percepiamo l’urgenza, la radicale necessità; intuiamo che la posta in gioco è altissima»; «di colpo abbiamo l’impressione che quanto si legge non corrisponda davvero a ciò che accade fra le righe»: così, per Giorgio Fontana, l’enigma Kafka è implacabile. Al tempo stesso, però, è importante uscire dalla banalità del mito, dalla spettacolarizzazione racchiusa nell’abuso di un aggettivo, «kafkiano»: «Kafka non era un kafkiano; occorre prenderlo in primo luogo da scrittore, e in quanto tale non degradarlo a un “ufficio informazioni sulla situazione dell’uomo”». Insomma, senza cadere nell’errore che il sacerdote del Processo imputa a Josef K.: non rispettare lo scritto e cambiare la storia.
Per entrare dentro tale enigma, l’estesa e ammaliante riflessione di Fontana inizia affrontando gli elementi tecnici: l’amalgama di naturalismo e fantastico, «i modi in cui Kafka si rapporta alla pagina: la scelta di un nome, l’entrata in scena di un personaggio, il posizionamento di una svolta narrativa». E ancora l’alterazione del tempo e dello spazio, il nitore della lingua, l’uso di un punto di vista limitato a fronte del classico narratore onnisciente – per contagiare il lettore con l’incertezza morale del protagonista – o gli straordinari episodi comici di cui sono punteggiati romanzi e racconti.
L’autore rivela così la ricchezza dell’opera kafkiana senza dimenticare l’uomo che vi sta dietro: attingendo dai suoi scritti privati e da testi letterari inediti in vita, ma trattando il materiale con la consapevolezza di esplorare la sfera privata di un defunto. Tutto converge verso una domanda posta fin da subito, una questione semplice solo in apparenza: «Ancora Kafka. Perché?». Perché le sue parole ci inquietano ancora, e perché recano al contempo un senso di dignità e fermezza? Perché suonano così vicine al timbro che deve avere la verità? Questo libro scrupoloso e ricco di fonti non è un asettico testo di analisi: è l’urgenza di uno scrittore di dissezionare la propria esperienza di lettura e di senso; e di fare di tale esperienza, essendo l’autore un narratore egli stesso, qualcosa di concreto e coinvolgente per chiunque abbia letto Kafka, lo conosca o lo voglia conoscere. Un tentativo riuscito di saldare il debito culturale che la nostra epoca ha contratto con il grande praghese e il debito personale che lega Fontana a Kafka da sempre: camminando sulla linea che unisce il rigore filologico e lo slancio passionale, la critica letteraria e l’amore.
(Sellerio; La Memoria)
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