Incipit Volevo essere madame Bovary
Qui è possibile leggere le prime pagine di Volevo essere madame BovaryArriva sotto un cielo cangiante, stormi di uccelli stridono disorientati. Una distesa di palme cinge l’aeroporto, i loro steli riflettono un sole malato. Avrebbe preferito un autunno piú aspro. Fosse stato al suo posto, suo padre avrebbe recitato un verso di Cortázar: «Ti amo, paese, fazzoletto sporco». Ma lei no, quelle parole non riuscirebbe a pronunciarle. Lo ha deluso da vivo, suo padre, e continua a farlo anche ora che è morto.
Incipit tratto da:
Torna qui dopo vent’anni e lo fa come l’eroina qualsiasi di uno dei romanzi che tanto le piacevano da ragazza: con il suo amante. A pensarci bene, le esagerazioni hanno sempre fatto parte della sua vita.
È venuta al mondo in una notte piovosa, in una città distratta a brindare per l’anno nuovo. Insieme al nuovo anno, sembrava che stesse arrivando l’apocalisse. Anche se ormai erano tutti atei, i Quaranta Santi avevano deciso di aiutarli e avevano fermato la tempesta: la città battuta dal temporale portava il nome dei quaranta martiri del monastero di Sebaste, non potevano certo correre il rischio di sparire con lei.
L’acqua rigava le finestre, i tuoni coprivano le grida di sua madre. Era persino saltata la luce, e l’ostetrica aveva acceso una lampada a petrolio. In quegli istanti, Hera Merkuri aveva fatto il suo ingresso nel mondo. L’ostetrica l’aveva presa e avvicinata alla lampada, poi l’aveva poggiata ancora nuda sulla bilancia. La stanza era ghiacciata, ma la bambina non si lamentava. Composta, teneva il collo dritto e le gambette abbassate, senza agitarsi come fanno i neonati. Era arrivato il verdetto: «La nostra moretta pesa quattro chili e cento grammi!» Un sorriso di stanchezza aveva illuminato il volto di Marika, sua madre.
Titolo: Volevo essere madame Bovary
Autrice: Anilda Ibrahimi
Casa editrice: Einaudi
In copertina: foto ©Igor Ustynskyy Moment / Getty Images
Progetto grafico: Bianco
Quarta di copertina / Trama
Hera è nata in un Paese del socialismo reale dove la donna lavora almeno quanto l’uomo e la bellezza è una colpa, soprattutto per una ragazza ambiziosa come lei. Da piccola divorava i romanzi di Tolstoj e Balzac, in cui le eroine sono tutte fedifraghe e di solito fanno una brutta fine, ma anche tanti libri di propaganda secondo cui l’ideale femminile è sposarsi e lavorare in campagna. Hera è cresciuta cosí, in bilico tra il desiderio di diventare qualcuno e la consapevolezza di dover rigare dritto, tra la voglia di vestirsi alla moda sfidando le censure del regime e i rimproveri di nonna Asmà. Poi, un giorno, è partita per Roma. In Italia all’inizio ha sofferto, si è sentita smarrita. Insieme a Stefano però ha trovato il suo centro: è diventata un’artista, ha dei figli che ama, non ha piú avuto paura di sembrare troppo. E allora cosa ci fa a Tirana con Skerd, uno con cui non ha nulla da condividere se non il corpo? E perché insieme a lui sente pulsare cosí forte l’eco della lingua madre? Hera non è piú quella ragazzina che cercava il grande amore nel dramma e negli uomini autoritari, ma ogni cosa intorno a lei sembra volerla ricacciare di nuovo nel passato da cui è fuggita. Con la sua voce essenziale e un umorismo piú tagliente che mai, Anilda Ibrahimi ha scritto un romanzo sulle insidie dell’appartenenza e della memoria, sui modelli femminili da incarnare e ribaltare, sull’importanza di rimanere fedeli a ciò che siamo diventati quando il tempo insiste per riportarci indietro.
(Ed. Einaudi; I coralli)
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