La morra cinese – Marco Malvaldi

Incipit La morra cinese - Marco Malvaldi

Incipit La morra cinese

– «… gelaaaato al cioccolato, dolce e un po’ salaaaaato…».
– Buongiorno – disse una voce, sconosciuta, mentre apriva la porta a vetri facendo entrare meglio anche l’eco della prima voce, questa invece ben nota e temutissima.
– No – rispose una terza voce, anche questa fin troppo nota, da dietro al bancone del bar.
Prima che il lettore possa inquadrare in modo scorretto il contesto della situazione, sarà bene precisare alcune cose.
La prima è che la voce nota non veniva dalla radio né da un diffusore stereo e soprattutto non apparteneva a Enzo Ghinazzi in arte Pupo, anche se la canzone in effetti era opera sua, va bene che Massimo ama la musica commerciale anni ’80 ma «commerciale» non sempre è sinonimo di «raccapricciante»: a esibirsi in diretta era uno dei senzatetto più molesti di Pineta, Gigi Zazzeri in arte Poverotti, nullatenente che girava d’abitudine per i campi e per il paese cantando a squarciagola le canzoni del suddetto artista, che in quel momento stava transitando esattamente fuori dal bar (cioè, per amor di chiarezza, era Poverotti che stava passando fuori dal bar, non Pupo né tantomeno Enzo Ghinazzi).
La seconda è che ad augurare il buongiorno era stato un ragazzo sui venticinque, capelli lunghi e lisci, in giacca e cravatta, la giacca troppo stretta e la cravatta col nodo troppo largo, con sottobraccio un piccolo piego di giornali.
La terza, anche se probabilmente non c’è nessun bisogno di spiegarla, è che la voce che aveva pronunciato la sillaba «no» apparteneva a Massimo Viviani, cofondatore insieme a Griffa Aldo e a Guazzelli Tiziana della CrostataGranata s.r.l., la quale a sua volta è proprietaria del BarLume e del ristorante Bocacito, scusate la prolissità ma in quest’epoca di plusvalenze e scarsa trasparenza di bilancio su certe cose è necessario essere chiari.

Incipit tratto da:
Titolo: La morra cinese
Autore: Marco Malvaldi
Casa editrice: Sellerio
Copertina: Riccardo Guasco
Qui è possibile leggere le prime pagine di La morra cinese

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Un fatto epocale a Pineta, il paese-mondo dei vecchietti del BarLume: dopo decenni, ha vinto la destra alle elezioni comunali e, per di più, nella persona di un neosindaco «noto per attività sociali a braccio teso». Ampelio non può crederci: «dovevo arriva’ a novant’anni solo per vedemmi di novo circondato da’ fascisti». Però, davanti al biliardo in perenne occupazione di pensionati, non tutti son d’accordo: la pensa come lui Pilade, sono invece contrari Aldo e il Rimediotti. Un bar spaccato, esattamente come in tutte le altre questioni, come per esempio la vendita, da parte della nuova giunta, del Bosco Torto, un enorme terreno che una holding vorrebbe comprare. Battibecchi a lingua sciolta e, sempre, politicamente scorretti, interrotti solo dai teneri gorgoglii dei due nuovi venuti: Matilde, la figlietta del barrista Massimo e del vicequestore Alice, e Michele, il bimbo della bella socia Tiziana con il disoccupato Marchino. Questo il contesto in cui piomba il delitto: Stefano Mastromartino, uno studente venuto in riviera da Pisa per motivi di studio, è trovato cadavere sotto le finestre della casa comunale. Visibilmente precipitato, ma non per mano propria. L’ultima telefonata a un nobile arci decaduto della zona, il conte Serra Catellani. Al vicequestore che lo interroga, Catellani spiega che il giovane stava conducendo una ricerca storica negli archivi del casato, a caccia di un vecchio carteggio. Il professor Viterbo della Normale, relatore della sua tesi, non sembra, agli occhi della investigatrice, del tutto limpido. E mentre lei guida la sua inchiesta in modo filologicamente irreprensibile alla ricerca delle fonti, nel quartier generale della maldicenza, il BarLume, si svolge un’indagine parallela, sulla base di ricordi, pettegoli e di parte, ma acuti perché a pensar male si indovina. E le due sponde della investigazione convergono verso una verità remota.
Lo spirito allegro e mordace delle commedie gialle della serie dei vecchietti del BarLume ha due caratteristiche. Da un lato l’orchestra di personaggi, surrealisticamente reali, affondati in una precisa tradizione di civiltà, dall’altro l’aderenza, ironica e vigile, alle pieghe più fini dell’attualità. Una miscela che in quest’ultimo mistero del BarLume si unisce a un intreccio classico e particolarmente complicato di magioni cadenti, antichi segreti dimenticati e bugie del presente. Un giallo comico, satirico e antiquario.
(Sellerio; La Memoria)

Oscura e celeste – Marco Malvaldi

Incipit Oscura e celeste - Marco Malvaldi

Incipit Oscura e celeste

Forare il fondo di un secchio di ferro con uno spillo non è facile.
La ragazza ci stava lavorando da una mezz’oretta, nel buio della sua cella, i gesti misurati e trattenuti. Non doveva in nessun modo svegliare le altre. Non avrebbero capito quello che stava facendo. E se avessero capito, non lo avrebbero approvato. A un certo punto, d’improvviso, lo spillo passò, attraversando il fondo del recipiente. Lei lo levò davanti a sé e si chinò a guardare dal foro, verso la candela. Filtrava solo un minuscolo bagliore di luce, ma poteva bastare. Mai fidarsi, però. Troppo importante, troppo prezioso quello che stava per fare. Versò dalla brocca un po’ d’acqua dentro il secchio, lo alzò e aspettò che cadesse la prima goccia. Poi la seconda, e poi la terza. Funzionava.
Con il cuore che le martellava nel petto, chiuse il forellino sul fondo con un dito e riempì il secchio col vino che tanto pazientemente era riuscita a mettere da parte. Poi lo prese tra le mani, sollevandolo lievemente come un trofeo appena vinto, e lo guardò un secondo con un misto di orgoglio e paura. Quella notte non avrebbe dormito. Ma non per l’inquietudine, no: per l’emozione.
Doveva solo aspettare. E la mattina dopo, forse, il mondo sarebbe cambiato per sempre.

Incipit tratto da:
Titolo: Oscura e celeste
Autore: Marco Malvaldi
Casa editrice: Giunti
In copertina: elaborazione digitale da © Lauren Rautenbach / Arcangel – © AISA / Bridgeman Images
© 2020 muratart / Shutterstock
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Oscura e celeste - Marco Malvaldi

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L’Europa è in guerra, le risorse scarseggiano ed è in corso una pandemia: no, non stiamo parlando di attualità ma dell’anno 1631. A Firenze la peste infuria, il Granduca dà disposizioni per limitare i contagi ma c’è chi sa trarre beneficio dalle situazioni di emergenza: tra gli altri, un “filosofo naturale” che con la scusa del morbo ha ottenuto di stampare il suo ultimo libro in città anziché a Roma, eludendo gli accaniti controlli dell’Inquisizione. È Galileo Galilei, l’uomo che con il suo “cannone occhiale” ha scoperto le fasi di Venere e i satelliti di Giove, che fa esperimenti sul pendolo e sulla caduta dei gravi e adesso sta per pubblicare il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo: un’opera scritta in volgare affinché tutti possano capire che non l’uomo con i suoi dogmi bensì il Sole sta al centro dell’universo. La vista di Galileo, però, è sempre più appannata, e le sue minute devono essere trascritte per il tipografo dalla figlia Virginia, che ha preso il velo nel convento di San Matteo in Arcetri. E come osservando attentamente la Luna si scopre che è coperta di macchie, così anche un luogo di preghiera, a frequentarlo assiduamente, rivela aspetti inattesi: c’è chi dice, per esempio, che alcune sorelle “ricevano”; che in una cella il lume rimanga acceso troppo a lungo; che una notte si sia udito il suono di un corpo che cade… Galileo dovrà portare luce in un mistero più buio di una notte senza stelle, ma nulla può fermarlo perché lui sa che ogni cosa illuminata ha una parte oscura: sta a noi capire da che lato osservarla. E quando arriviamo a vederla nella sua interezza, ci avviciniamo alla nostra natura celeste.
Marco Malvaldi torna al giallo storico riportando in vita il padre della scienza moderna: un toscano verace, amante del vino e della tavola, incline alle facezie ma capace di volgere il proprio straordinario ingegno alla conoscenza, consegnandoci gli strumenti attraverso cui pensare il futuro.
(Giunti; H)

Chi si ferma è perduto – Marco Malvaldi e Samantha Bruzzone

Incipit Chi si ferma è perduto - M. Malvaldi S. Bruzzone

Incipit Chi si ferma è perduto

Se vi doveste trovare, una notte d’autunno mentre piove, completamente nudi ai comandi di un aereo di linea che sta sorvolando Ponte San Giacomo, e si dovessero spegnere d’improvviso entrambi i motori, il mio consiglio è di non lasciarvi prendere dal panico. In primo luogo perché Ponte San Giacomo, il posto dove vivo, è un paese per modo di dire: in realtà è una strada in mezzo a una pianura, e le uniche case sorgono accanto alla
strada stessa, per cui se siete esperti non avrete nessun problema a trovare un campo o un altro spiazzo erboso abbastanza vasto per atterrare senza fare danni.
In secondo luogo, anche se non sapete pilotare un aereo non c’è problema, perché quello che vi ho descritto ovviamente è solo un sogno.
Per essere precisi, è il sogno che ho fatto stanotte.
Ieri sera ho visto un documentario che parlava di quel pilota che anni fa fece ammarare un aereo di linea sul fiume Hudson, accanto a Manhattan. Forse ve lo ricordate: il velivolo poco dopo il decollo venne investito da uno stormo di anatre, che misero fuori uso entrambi i motori. Al di là del dispiacere per le anatre, che oltretutto erano state arrostite con le piume e quindi sarebbero state immangiabili, c’era il problema che l’aereo si trovava con i motori fuori uso esattamente sopra una delle città più popolose del pianeta. Il pilota stabilì che non sarebbe stato in grado di raggiungere nessun aeroporto nelle vicinanze e, dopo essersi guardato intorno, decise di ammarare sull’acqua dello Hudson. Dei 155 passeggeri, se ne salvarono esattamente 155, compreso un neonato. Le ferite più gravi? Due tibie fratturate.
La cosa curiosa, ho letto, è il modo in cui il capitano riuscì a capire che non sarebbe mai stato in grado di tornare all’aeroporto, ma che lo Hudson invece era alla sua portata. Praticamente, se guardi un punto di fronte a te mentre gli vai incontro, possono succedere
due cose: o lo vedi spostarsi verso l’alto, oppure verso il basso. Se va verso l’alto, è sopra la linea dei tuoi occhi; se va verso il basso, il contrario. Guardando i
grattacieli il pilota capì che i grattacieli intorno all’aeroporto erano più in alto dell’aereo, e quindi non c’era speranza di poterlo raggiungere (un aereo senza motori ha qualche difficoltà a prendere quota), mentre invece i palazzi intorno allo Hudson erano più bassi, e quindi prima di schiantarsi al suolo era teoricamente fattibile appoggiarsi sul fiume.
Non credevo che questo fatto mi avesse così impressionato, e invece stanotte me lo sono sognata – in realtà spesso sogno di volare, ma non in aereo. Quanto al perché fossi nuda, non saprei cosa dirvi: posso solo confessare che, nel sogno, mi sembrava il problema più urgente. Il prode capitano del fiume Hudson sicuramente se ne sarebbe sbattuto, di essere travestito da Adamo; e forse anche della situazione in generale. Non aveva avuto
problemi a schivare i grattacieli di Manhattan, figuriamoci a scansare Ponte San Giacomo. Gli unici rilievi in grado di stagliarsi nel cielo, a parte il silos del letame del
Buccianti, sono le Alpi Apuane, che interrompono l’orizzonte a nord da qualsiasi punto del paese.
Ma, anche in questo caso, averne paura sarebbe unerrore di prospettiva.

Incipit tratto da:
Titolo: Chi si ferma è perduto
Autore: Marco Malvaldi e Samantha Bruzzone
Casa editrice: Sellerio
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Chi si ferma è perduto - M. Malvaldi S. Bruzzone

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Serena, casalinga ultraindaffarata di un borgo vicino a Pisa, si imbatte casualmente in un cadavere. È quello del professor Caroselli, ottimo musicista e rigoroso insegnante nella scuola locale gestita dalle suore. Serena ha una solida formazione da chimica e un buon lavoro, ma ha scelto di licenziarsi stanca della discriminazione maschilista. Ma la sua identità non si esaurisce nel ruolo di madre di famiglia. Inoltre, la multitasking mamma di due figli e moglie di un distratto scienziato possiede quello che lei chiama «superpotere», un olfatto formidabile e professionalmente coltivato che le consente di distinguere perfino i singoli componenti chimici delle sostanze. Il passaggio da testimone in un caso di omicidio a investigatrice è così inevitabile. L’inchiesta ufficiale è invece condotta da Corinna Stelea, sovrintendente di polizia alta quanto un giocatore di pallacanestro, apparsa per la prima volta in Argento vivo nel ruolo di agente scelto che qui vedremo crescere. La coppia indirizza i sospetti verso i traffici del convento che gestisce la scuola. Molti pettegolezzi accompagnano l’indagine e molti segreti saranno svelati. Ma la soluzione sarà la più triste.
Serena Martini e Corinna Stelea, i due nuovi personaggi creati dalla collaborazione di un affermato scrittore con una quasi esordiente, ma soprattutto dalla fusione di un punto di vista maschile e uno femminile, hanno giornate così complicate e vere che le loro più banali vicende quotidiane rischiano ogni momento di precipitare nell’acrobatico, nel paradosso, nell’avventura. Come già nella serie del BarLume, è l’affermazione del lato umoristico, o benevolmente assurdo, della vita che introduce nel poliziesco l’elemento comico, a cui in questo romanzo si aggiunge la capacità di rappresentare la sensibilità femminile.
(Ed. Sellerio; )