La cassa refrigerata. Commedia nera n.4 – Francesco Recami

L’apertura era prevista per le tre del pomeriggio.

Incipit La cassa refrigerata. Commedia nera n.4

L’apertura era prevista per le tre del pomeriggio. Fin dalle due e mezza un gruppo di persone stazionava nei pressi del portone d’ingresso della villetta monofamiliare. Era la classica costruzione insapore progettata da un geometra, a base quasi quadrata, con salone living, sala da pranzo e cucina da basso, camere al primo piano e mansarda di sopra. Nel seminterrato, cantinetta ex garage. Esternamente l’abitazione non mostrava decorazioni particolari, se non qualche pietra a vista, sulla facciata. La posizione però era buona, sopra un rialzo che si esiterebbe a definire collinetta, in mezzo a begli alberi. Le finestre erano dotate per intero di inferriate di sicurezza, che conferivano all’edificio l’aspetto di un bunker domestico, tipico delle zone ex rurali del Veneto.
Data la pioggia battente le persone si erano ammassate sotto la verandina che proteggeva l’ingresso.
Ciascuno dei presenti in coda cercava di tenere la posizione, la priorità faticosamente ottenuta, perché tanto in questi casi si sa come va a finire, la gente ti passa avanti come ridere, facendo finta di niente. Allora i primi arrivati, a gomiti larghi, difendevano la loro graduatoria. Si trattava di una coppia di coniugi molto determinata, lei aveva una grossa cisti, si presume sebacea, in fronte; lui una capigliatura color mogano che strideva con il bianco delle sopracciglia. Subito dietro c’erano due strani individui, rasati a zero, in maglietta senza maniche. Entrambi erano molto pelosi, sul petto, sul collo, sulle spalle, che fossero fratelli? Nerboruti com’erano nessuno avrebbe dato loro fastidio per entrare prima.
Dietro si era formata una coda abbastanza disciplinata, di persone di età, censo, genere, provenienza variegati.
Tuttavia, quando alle 15 e 2 minuti la porta fu aperta nessuno rispettò un minimo di decoro formale. Si buttarono tutti dentro alla disperata, come le folle dei britannici il giorno in cui iniziano i saldi di fine stagione.
Un altro particolare nella casa ricordava il gusto britannico: l’orrenda moquette color vomito – o a essere più benevoli color vinaccia – che ricopriva il pavimento della sala.
Come in occasione dei saldi ciascuno si scapicollò cercando di arrivare prima nella camera ardente. Il feretro era disposto sulla sinistra nel soggiorno.
Qui, sollevata di un metro abbondante rispetto al livello del pavimento, sopra un carrello di tipo ospedaliero, era piazzata la bara di Maria Carrer, nata a Zenson di Piave il 10 febbraio del 1910 e deceduta il 4 settembre 1992, vale a dire due giorni prima della data in cui si svolgono i presenti fatti. Era scritto su un cartoncino sopra la bara, accompagnato da una foto della defunta. Questa mostrava un’espressione scarsamente amichevole, abbastanza imbufalita. Evidentemente non se n’era trovata una migliore.

Incipit tratto da:
Titolo: La cassa refrigerata. Commedia nera n.4
Autore: Francesco Recami
Casa editrice: Sellerio

Libri di Francesco Recami

Copertine di La cassa refrigerata. Commedia nera n.4 di Francesco Recami

Quarta di copertina / Trama

La vetusta signorina Maria è morta. Una piccola folla di una ventina di persone si accalca davanti alla porta della villetta. Si sgomita per presenziare all’esposizione della bara. Si potrebbe pensare che i suoi paesani le volessero bene… Nient’affatto. Era una donna odiosa, che non se la faceva né con un amico né con un parente, tanto ricca quanto tirchia. Ma di lei si dice che avesse nascosto un patrimonio negli anfratti della casa; e forse un testamento segreto, per la fortuna di qualcuno e la delusione di tanti. Fuori comincia a venire giù un nubifragio che, come spesso capita alla nostra penisola, sommerge tutto in fiumi di fango. Quando finalmente i finti dolenti sono entrati, esplode la guerra per il tesoretto: risse collettive, duelli solitari, avidità nutrite da privazioni generazionali, panni sporchi lavati in piazza di esistenze piene di vizi privati, matrimoni che naufragano ma anche tristi amori che sbocciano, piccolissimi peccati da confessionale e magagne da parrocchia. L’occhio dell’autore squadra di volta in volta scene di massa e primi piani. E misteriosamente cominciano a fioccare i morti. E sembra che non ci sia scampo per nessuno perché la villetta è restata isolata dal resto del mondo civile.
Francesco Recami, nella serie delle Commedie nere, mette in scena con ferocia comica l’umana confusione di tante vite normali, stravolte dall’ipocrisia e dal pregiudizio, dalla misera furbizia credulona e da una schifata indifferenza per la morte. Prende in giro, quasi faccia a faccia, i suoi personaggi, non si sa mai se più cinici o più illusi. Attinge generi diversi, il thriller, il mistero, l’umorismo nero e un po’ di horror, per poi metterli in parodia. E usa un meccanismo apertamente teatrale che dall’equivoco passa all’incidente, dall’incidente al danno, dal danno alla tragedia.
(Ed.Sellerio; La Memoria)

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La verità su Amedeo Consonni – Francesco Recami

Giovanni Bacigalupo, detto Gassa, era nato a Camogli nel 1922.

Incipit La verità su Amedeo Consonni

Giovanni Bacigalupo, detto Gassa, era nato a Camogli nel 1922. Figlio di marinai, nipote e bisnipote di marinai, aveva fatto il marinaio anche lui, imbarcandosi per la prima volta nel ’39 su una nave mercantile. Il soprannome gli venne attribuito in quel periodo, a causa della sua straordinaria abilità di intrecciare nodi. Al suo ritorno, nel gennaio del ’42, fu arruolato nella Marina Militare, dove svolse servizio fino al 1944 (Libia, Mediterraneo, Dodecaneso, Albania, Egitto). Conobbe anche la prigionia. Poté fare ritorno a Camogli solo allora, in tempo per salutare sua madre, che stava morendo di una affezione polmonare, e per sposarsi con Marietta, una ragazza di 19 anni cugina di secondo grado.
Gassa era l’unico di quattro fratelli rimasto in vita, sopravvissuto alla guerra.

Incipit tratto da:
Titolo: La verità su Amedeo Consonni
Autore: Francesco Recami
Casa editrice: Sellerio

Libri di Francesco Recami

Copertine di La verità su Amedeo Consonni di Francesco Recami

Quarta di copertina / Trama

Dopo la Morte di un ex tappezziere, Amedeo Consonni, la Casa di ringhiera non è più la stessa. Tutto è successo nel pieno di una sparatoria, a Milano, e Consonni non c’è più. Perché? Perché ha visto troppo: una strage, tra poliziotti, acquirenti e venditori ad un’asta di giovani schiave dell’Est. Qual è la verità? Basterà un processo a chiarirla? Adesso la sua intraprendente compagna, Angela Mattioli, si è trasferita a Camogli, in Liguria, dove condivide l’esistenza con un signore silenzioso e molto discreto, Alberto Scevola. La coppia abita in una casetta appartenuta una volta a un marinaio eccentrico e il nido d’amore nasconde dei segreti, pesantissimi. Alla Casa di ringhiera manca Consonni, colui che era un po’ il suo centro di gravità, la parte razionale di quell’organismo che l’autore Francesco Recami riesce a rappresentare come dotato di vita autonoma. E una serie di iperboliche vicende si aggroviglia. L’anziano Luis De Angelis sembra diventato più freddo verso l’eccessiva BMW Z3. 3.2 24 valvole roadster perché teme che il suo trilocale sia visitato da presenze demoniache, forse addirittura Poltergeist. Claudio Giorgi, l’ex alcolista, scopre un segreto della signorina Mattei-Ferri la quale ordisce una macchinazione per annientarlo. Sono coinvolti anche: il nipote di De Angelis, Daniel, un microdelinquente; i due ragazzi Giorgi, influenzati da visioni splatter; Antonio, il bravo manovale, che ha portato non si sa da dove una specie di dea, Yutta, una tedesca dalla bellezza sovrumana che, imprendibile e disinibita, seduce tutti, ma soprattutto l’architetto imbroglioncello Du Vivier. La trama ordinata diventa un groviglio inestricabile, ma è Enrico, il Cipolla, il nipotino adorato da Consonni, quello che fa di tutto sfidando l’impossibile per rivedere il nonno, a trovare l’ordito. E infatti la storia di Consonni – sia quella della sparatoria sia quella che parte con una luccicante scoperta fatta nell’appartamento di Camogli – continua, come spina dorsale del romanzo. Forse più che negli altri libri, in questo il «cattivo» Francesco Recami riesce a mescolare vertiginosamente generi diversi, mistero, avventura, perfino horror, fantasy e mitologia. Ma lo fa con un distacco comico e sarcastico che svela il suo fine vero: una postmoderna commedia degli equivoci che si prenda gioco dei luoghi comuni che imperversano, anche nei romanzi gialli.
(Ed. Sellerio; La Memoria)

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L’atroce delitto di via Lurcini – Francesco Recami

In quell’enorme stanzone sembrava non ci fosse nessuno.

Incipit L’atroce delitto di via Lurcini

In quell’enorme stanzone sembrava non ci fosse nessuno. Erano appena suonate le campane di mezzogiorno, a Santa Maria Novella.
Lo spazio era suddiviso da nastri bianchi e rossi, come quelli che si usano per i cantieri o per le case messe sotto sequestro: le strisce parallele al lato lungo e a quello corto dello stanzone dividevano l’ambiente in riquadri di circa tre metri per tre. Il pavimento di mattonelle maiolicate rotte e sbreccate era ricoperto da cartoni, materassi, valigie, borse, coperte, scatoloni, bottiglie di acqua minerale, di Coca-Cola, di vino e di superalcolici, tutte vuote, cartocci, cartoni di Tavernello e di Gaiosello, stracci, giacche a vento usurate, scarpe, moltissime scarpe malconce, fornite probabilmente dalla Caritas, asciugamani a pezzi, giornali e rifiuti sia organici che indifferenziabili, dispersi nell’ambiente senza un particolare criterio.
C’erano anche alcuni scheletri di bicicletta, svariati copertoni, palloni sgonfi, un paio di televisori anni settanta, tre mobiletti Ikea sfasciati, alcuni carrelli della Coop e della Conad, tre candelabri di ottone, uno scaldabagno reclinato, una scala di legno di proprietà del Comune, uno specchio stradale rettangolare di proprietà dell’ANAS, opportunamente disposto vicino all’ingresso, così che coloro che uscivano potevano darsi l’ultima riordinata prima di lasciare il locale.
Insomma il tutto somigliava a un enorme magazzino di uno stracciarolo che avesse abbandonato l’attività da tempo, mollando sul posto tutto ciò che non serviva più a niente.

Incipit tratto da:
Titolo: L'atroce delitto di via Lurcini
Autore: Francesco Recami
Casa editrice: Sellerio

Libri di Francesco Recami

Copertina di L'atroce delitto di via Lurcini di Francesco Recami

Quarta di copertina / Trama

La scena si svolge in un edificio fatiscente occupato da miserabili di ogni estrazione etnica, sociale o criminale. Su questa corte dei miracoli regna dispotico un furfante, un feroce imprenditore della miseria, che affitta ai senzatetto piccoli spazi, sfruttandoli quanto si può. Quando il gaglioffo si sveglia da ubriaco e trova su di sé le tracce inequivocabili di un delitto sanguinoso, comincia a compiere le azioni più ingegnose e orripilanti per non essere scoperto. Ma i suoi piani vengono sconvolti dal coreografo di fama mondiale Netzer, il quale inscena nello stanzone l’ultimo suo capolavoro, utilizzando i senzatetto come danzatori e attori della loro tragedia. Titolo: Gli Ultimi.
In questa serie delle scorrettissime «commedie nere» di Recami, il piacere di leggere è acceso dalla forma appunto di teatro degli equivoci. Ad ogni pagina è offerto lo spettacolo delle continue peripezie che affaccendano individui che hanno qual cosa da nascondere: imbrogli o truffe non previsti, crimini inutili, sporche slealtà, colpi bari del caso, equivoci intrecciati con nuovi equivoci.
Non c’è spazio, volutamente, per nessuna vera solidarietà sociale. L’umorismo è sarcastico, lo sguardo cinico senza vergogna. I personaggi sono picari, volgari, che non hanno tempo per i buoni sentimenti perché devono solo occuparsi di sopravvivere. Il loro destino è inscenare la farsa dell’esistenza.
(Ed. Sellerio; La Memoria)

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