Le meraviglie di St. Urbain Street – Mordecai Richler

Incipit Le meraviglie di St. Urbain Street

«Perché vuoi andare all’università?» domanda il consigliere scolastico.
Senza pensarci, rispondo: «Farò il dottore, credo».
Il dottore.
Un giorno, in St. Urbain Street, lettini e pannolini crudelmente sparivano, e il giorno appresso venivamo strigliati e portati di peso all’asilo. Noi non lo sapevamo, ma eravamo già avviati alla medicina. La scuola cominciava a sei anni, tuttavia madri ferocemente competitive trascinavano in segreteria restii marmocchi di quattro. «È piccolo per la sua età» dicevano.
«Certificato di nascita, prego».
«Perduto. In un incendio».

Incipit tratto da:
Titolo: Le meraviglie di St. Urbain Street
Autore: Mordecai Richler
Traduzione: Franco Salvatorelli
Titolo originale: The Street
Casa editrice: Adelphi

Libri di Mordecai Richler

Copertine di Le meraviglie di St. Urbain Street di Mordecai Richler

Incipit The Street

“Why do yuo want to go to university?” the student counsellor asked me.
Without thinking, I replied, “I’m going to be a doctor, I suppose.”
A doctor.
One St. Urbain Street day cribs and diapers were cruelly withdrawn and the next we were scrubbed and carted off to kindergarten. Though we didn’t know it, we were already in pre-med school. School starting age was six, but fiercely competitive mothers would drag protesting four-year-olds to the registration desk and say, “He’s short for his age.”
“Birth certificate, please?”
“Lost in a fire.”

Title: The Street
Author: Mordecai Richler
Publisher: New Republic
: English

Quarta di copertina / Trama

Sorpresa, sorpresa. Chi ha di Mordecai Richler l’immagine di un narratore irresistibile e torrenziale (irresistibile anche perché torrenziale) deve metterla da parte. Da vero epigono di razza del cabaret yiddish, Richler sapeva perfettamente come allestire un one man show, cioè come scrivere e interpretare un breve monologo che sotto l’ombrello di una comicità viscerale e inarginabile disegnasse, attraverso le vicissitudini e i tic di un personaggio, tutto un mondo. Non è dunque un caso che nel 1969, a metà circa della sua carriera, abbia deciso di prendersi una vacanza, e raccontare daccapo le storie del suo quartiere a Montreal, solo in una forma più diretta e confidenziale, lasciando cioè che si sovrapponessero e si intrecciassero così come, in apparenza, gli venivano in mente. Ecco perché in queste pagine si mischiano, con la massima libertà possibile, una disamina delle catastrofiche ripercussioni di un pezzo di «Time» sulla vita quotidiana di St. Urbain Street, una divagazione sull’uso «privato» delle cabine telefoniche pubbliche e un manualetto sul sesso redatto da un cultore della materia assai vicino a molti lettori: Duddy Kravitz. Per capire di chi è questo libro, e cosa offra, basterebbe insomma aprirlo a caso, senza neppure guardare la copertina.
(Ed. Adelphi; Fabula)

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L’apprendistato di Duddy Richler – Mordecai Richler

Tra la moglie malata da varie settimane e la prospettiva di altri tre giorni di lezione prima del weekend, Mr MacPherson si sentiva insolitamente depresso.

Incipit L’apprendistato di Duddy Richler

Tra la moglie malata da varie settimane e la prospettiva di altri tre giorni di lezione prima del weekend, Mr MacPherson si sentiva insolitamente depresso. Arrancò per St. Dominique Street finché giunse in vista della scuola. Poiché era in anticipo e voleva evitare la sala professori, si fermò per un istante nella neve. Vent’anni prima, scorgendo per la prima volta quell’edificio, aveva chiuso gli occhi e pregato che la sua opera di insegnante fosse benedetta dai doni della carità e del successo. Aveva sognato a occhi aperti il possibile retaggio della tarda età, i vecchi studenti – ormai avvocati, medici, deputati – riuniti nel suo salotto la domenica sera a dolersi per le sconfitte a hockey di vent’anni prima. Ma già da tempo Mr MacPherson non provava più nessuna emozione per quell’edificio. Non riusciva a descriverlo o a dire come arrivarci più di quanto riuscisse a dimenticare che l’Ode al vento dell’Ovest di Shelley era a pagina 89 di Vie maestre della lettura, e che la sua idea centrale era la dedizione del poeta a uno spirito libero e naturale.

Incipit tratto da:
Titolo: L'apprendistato di Duddy Richler
Autore: Mordecai Richler
Traduzione: Massimo Birattari
Titolo originale: The Apprenticeship of Duddy Kravitz
Casa editrice: Adelphi

Libri di Mordecai Richler

Copertine di L'apprendistato di Duddy Richler di Mordecai Richler

Incipit The Apprenticeship of Duddy Kravitz

What with his wife so ill these past few weeks and the prospect of three more days of teaching before the weekend break, Mr. MacPherson felt unusually glum. He trudged along St. Dominique Street to within sight of the school. Because it was early and he wanted to avoid the Masters’ Room, he paused for an instant in the snow. When he had first seen that building some twenty years ago, he had shut his eyes and asked that his work as a schoolmaster be blessed with charity and achievement. He had daydreamed about the potential heritage of his later years, former students — now lawyers or doctors or M.P.’s — gathering in his parlor on Sunday evenings to lament the lost hockey games of twenty years ago. But for some time now Mr. MacPherson had felt nothing about the building. He couldn’t describe it or tell you how to get there any more than he could forget that Shelley’s Ode to the West Wind was on page 89 of Highroads to Reading, the central idea being the poet’s dedication to a free and natural spirit.

Incipit tratto da:
Title: The Apprenticeship of Duddy Kravitz
Author: Mordecai Richler
Publisher: McClelland and Stewart
Language: English

Quarta di copertina / Trama

All’inizio di questo romanzo Duddy Kravitz ha quindici anni, ma si rade due volte al giorno nella speranza di farsi crescere il più in fretta possibile la barba. La vita non è facile, nel ghetto ebraico di Montreal, e la profezia del nonno («un uomo senza terra non è nessuno») incombe sul suo futuro come una condanna. O un invito a non arretrare di fronte a nulla pur di raggiungere lo scopo. Ed è in questo senso che Duddy la interpreta, costruendosi passo (esilarante) dopo passo un’impeccabile carriera di cialtrone, bugiardo, mancatore di parola, baro, libertino – in altre parole di sognatore, e di sognatore professionista, visto che il suo ultimo approdo, che gli garantirà denaro e gloria, sarà il cinema. In un qualsiasi quiz televisivo la domanda su chi sia l’autore di questa trama – o anche di una qualsiasi frase tratta a caso dal libro – verrebbe certamente scartata per eccessiva ovvietà, ma il romanzo della maturità di Richler pone un altro interrogativo destinato per fortuna a rimanere senza risposta, cioè se Duddy Kravitz sia Barney Panofsky da giovane, o Barney Panofsky sia Duddy Kravitz da vecchio. Al lettore, che già sa di non poter contare sulla testimonianza di due personaggi per propria natura adorabilmente inaffidabili, non resterà che scoprirlo da sé.
(Ed. Adelphi; Fabula)

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Solomon Gursky è stato qui – Mordecai Richler

Incipit Solomon Gursky è stato qui

Un mattino – durante la memorabile ondata di freddo del 1851 – un grosso, minaccioso uccello nero, del quale in passato mai si era visto l’eguale, si librò sopra la rude cittadina mineraria di Magog, nei pressi della frontiera con il Vermont, lanciandosi in continue picchiate. Luther Hollis abbatté l’uccello con il suo Springfield. Poi gli uomini videro un tiro di dodici cani uggiolanti emergere dai mulinelli di neve del lago Memphremagog, completamente ghiacciato. I cani trainavano una lunga slitta stracarica, alla cui guida sedeva, facendo schioccare una frusta, Ephraim Gursky, un uomo piccolo, dall’aria feroce, incappucciato. Ephraim raggiunse la riva e si mise a camminare con fatica su e giù, scrutando il cielo. Dal fondo della gola gli uscì un grido inumano, un suono triste e secco, insieme desolato e pieno di speranza.

Incipit tratto da:
Titolo: Solomon Gursky è stato qui
Autore: Mordecai Richler
Traduzione: Massimo Birattari
Titolo originale: Solomon Gursky Was Here
Casa editrice: Adelphi

Libri di Mordecai Richler

Copertine di Solomon Gursky è stato qui di Mordecai Richler

Quarta di copertina / Trama

A chi lo incensava come l’inimitabile cantore del microcosmo ebraico di St Urbain Street, Mordecai Richler rispose da par suo, e cioè facendo saltare il tavolo con questo romanzo, il suo penultimo. Qui il racconto abbraccia infatti due secoli, due sponde dell’Atlantico e cinque generazioni di una dinastia ebraica in cui tutto è smisurato: vitalità, ricchezza, lusso, inclinazione al piacere in ogni sua forma. Ma nessuna grande famiglia è senza macchia, e la macchia dei Gursky si chiama Solomon, rampollo in disgrazia che pare essere stato presente, come Zelig più o meno negli stessi anni, in tutti i momenti cruciali del ventesimo secolo – la Lunga Marcia, l’ultima telefonata di Marilyn, le deposizioni del Watergate, il raid di Entebbe. Solomon rimarrebbe tuttavia un mistero, se della sua fenomenale parabola non decidesse di occuparsi il più improbabile dei biografi, Moses Berger, ex ragazzo prodigio rovinato dal rancore, dall’alcol, ma soprattutto dalle sue stesse maniacali indagini intorno a un unico soggetto: i Gursky. I lettori di Barney avranno certamente riconosciuto gli ingredienti base di ogni Richler da collezione: a sorprenderli, stavolta, sarà la loro imprevedibile miscela.
Solomon Gursky è stato qui è stato pubblicato per la prima volta nel 1989.
(Ed. Adelphi; Fabula)

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