Incipit Il popolo di legno
Nemmeno il Topo, pensò quella mattina il Topo scrutando la sua faccia gonfia di sonno nello specchio sopra il lavandino, nemmeno il Topo può sapere come finirà questa nuova storia, che pure – non c’è dubbio – ha messo in moto lui. Ma una cosa è mettere in moto, tanto per dire, e un’altra è arrivare sano e salvo fino a dove hai deciso di andare, senza perderti o sbattere.
Incipit tratto da:
Il suo pensiero procedeva in terza persona, come se si trattasse di ragionare su un estraneo. E questo estraneo, che non era altri che lui, si chiamava il Topo. Da sempre, in pratica.
All’origine era stato un nomignolo insignificante, una goccia di fiele ingoiata tra tutte quelle che tocca ingoiare a un bambino. Invece di soffrirci sopra, cosa che non serve mai a nulla, quel soprannome se lo era ficcato nel centro di se stesso, come un vessillo e un tatuaggio. Tutte le umiliazioni, se accettate con una certa dose di indifferenza, prima o poi diventano armi, vantaggi, opportunità. A ben vedere, non possiamo contare su nient’altro di piú affidabile.
Titolo: Il popolo di legno
Autore: Emanuele Trevi
Progetto grafico di Riccardo Falcinelli.
In copertina: foto © Scott Hirko / Getty Images.
Casa editrice: Einaudi
Quarta di copertina / Trama
Ha un corpo magro e muscoloso, il talento del predatore e, negli occhi, il potere di soggiogare chi gli sta intorno. Lo chiamano il Topo, fin da quando era bambino. Vive in una Calabria lontana da qualunque realismo geografico. Ha una moglie, Rosa, meraviglioso «mare di carne» mai sfiorato da un’opinione, e un amico: il Delinquente. È proprio il Delinquente, fragile, sottomesso direttore artistico di Tele Radio Sirena, a fornirgli l’occasione per condurre un programma: Le avventure di Pinocchio il calabrese. Una serie di prediche rivolte al «popolo di legno», che diventano il ritratto dell’umanità stessa, schiacciata dall’idea di colpa e sacrificio, e nonostante tutto incapace di salvarsi.
Anarchico, ribelle, scorretto, il romanzo di Emanuele Trevi ci fa vedere il mondo con gli occhi di un personaggio infimo e irresistibile, che non ha paura di svelare quanto assurda sia la convinzione degli esseri umani di poter migliorare la propria vita. Nella cupa ilarità dei sermoni del Topo, il protagonista, vibra un sentimento dell’esistenza che non lascia spazio alla redenzione. I suoi strampalati monologhi radiofonici trovano un immediato successo di folla. In un sorprendente ribaltamento ironico, il Topo diventa il profeta di una paradossale innocenza collettiva.
(Ed. Einaudi; Stile Libero Big)