Il ritorno – Marco Vichi

Incipit Il ritorno - Marco Vichi

Incipit Il ritorno

Una lunga fila di figure nude, e in fondo, all’orizzonte, una parete bianca, e una porta. La fila si allunga ogni minuto, io sono sempre l’ultima. Ogni secondo che passa è un tempo interminabile. Aspetto, aspetto, in quell’attesa mi sento quasi invecchiare… Nel frattempo, una per volta o a gruppi, quelle figure umane spariscono oltre quella porta. Ecco, non c’è più nessuno in attesa. Dovrebbe toccare a me. Un uomo con il viso da saggio, vestito di bianco, mi chiede il nome. «Maria…» rispondo. L’uomo si abbassa, mi guarda tra le gambe con una lente, osserva con interesse qualcosa che io non vedo, scuote il capo. Con un attrezzo prende alcune misure e le scrive sopra un foglio, poi con decisione comincia a tagliarmi dal corpo dei minuscoli brandelli di carne. Non sento male, ma cerco lo stesso di ribellarmi.

«Bisturi…» dice il chirurgo, e un attimo dopo il bisturi è nelle sue mani.

Incipit tratto da:
Titolo: Il ritorno
Autore: Marco Vichi
Casa editrice: Guanda
In copertina: illustrazione di Giancarlo Caligaris
Progetto grafico ebook: Guido Scarabottolo

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Il ritorno - Marco Vichi

Quarta di copertina / Trama

In questo romanzo incontrerete una donna nata bambino che per non rinunciare alla propria identità più autentica dovrà attraversare l’inferno, quello costruito dagli uomini sulla terra. Sarà costretta a fuggire da molte gabbie, liberandosi da pregiudizi, malignità, umiliazioni, violenza. Sopporterà i tradimenti più dolorosi e la solitudine più estrema. Lontana da casa, sprofonderà nell’orrore e nello strazio della guerra dei Balcani, simile a una delle tante guerre che ammorbano questi decenni di pace apparente. Nella sua storia senza respiro, ogni affermazione e ogni negazione vengono rivoltate, amplificate, distrutte e poi sognate, nel tentativo folle di arrivare a un punto che sia almeno un po’ veritiero. Un luogo dove chi è generoso e sa amare abbia ancora diritto all’esistenza. Questa donna che non cede, che non si corrompe, che sa vedere, persino sorridere, e giocare, ha un nome semplice, si chiama Maria. Non è frequente, ma a volte succede che ci siano persone come lei e storie come la sua, nelle quali gli archetipi si manifestano e parlano delle vite di tutti.
(Guanda)

Nulla si distrugge – Marco Vichi

Incipit Nulla si distrugge - Marco Vichi

Incipit Nulla si distrugge

Si svegliò di soprassalto nel cuore della notte, forse per colpa di un rumore. D’istinto allungò una mano sul materasso, ma Eleonora non c’era. Anche se nel letto si poteva ancora avvertire il suo odore. Rimase sdraiato al buio, ad ascoltare il silenzio della campagna, che silenzio non era mai. C’era un gran vento, e dopo un po’ si sentì una persiana sbattere con violenza. Accese la luce, e sospirando si alzò per andare a bloccarla. Aprì la finestra con un gran rumore di vetri, e dopo aver messo il fermo alla persiana rimase a guardare la campagna scossa da lunghe e potenti folate di vento tiepido. Lo spettacolo della Natura gli sembrava un disordine apparente che apparteneva a un ordine più generale, invisibile all’uomo. Sotto un meraviglioso cielo stellato, dominato da una luna tagliata in due, le chiome fruscianti degli olivi ondeggiavano tutte insieme. I cipressi cresciuti intorno alla sua grande casa colonica si piegavano di qua e di là, e solo ogni tanto tornavano a puntare il cielo. Poco più lontano, oltre il ruscello, la massa scura del bosco appariva più misteriosa che mai, come nelle fiabe o nei romanzi cavallereschi. Il vento entrava nella finestra spalancata e gli scompigliava i capelli, dandogli una sensazione di vitalità e di avventura. A completare l’opera, a momenti si sentiva una sorta di ululato che veniva dalla canna fumaria, come in certi racconti di Čechov.

Incipit tratto da:
Titolo: Nulla si distrugge. Un’avventura del commissario Bordelli
Autore: Marco Vichi
Casa editrice: Guanda
In copertina: illustrazione di Giancarlo Caligaris
Qui è possibile leggere le prime pagine di Nulla si distrugge

Nulla si distrugge - Marco Vichi

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Quarta di copertina / Trama

Siamo alla fine di aprile del 1970 e il commissario Bordelli, ormai in pensione, può dedicarsi a un caso riaperto di recente, un’indagine mai risolta che lo tormenta da molti anni. Si tratta dell’assassinio del figlio di un noto fascista avvenuto nel 1947, che nel clima irrequieto del Dopoguerra era stato frettolosamente archiviato. Mentre, con l’aiuto del vice commissario, Bordelli scava nel passato alla ricerca della verità, sulla montagna pistoiese la Pubblica Sicurezza sta scandagliando il bosco in una frenetica lotta contro il tempo e una brutta faccenda tornerà alla luce. Come se non bastasse, un vecchio amico che più di dieci anni prima era scomparso nel nulla ricompare all’improvviso, facendo affiorare alla memoria di Bordelli il ricordo di una vicenda complessa e dolorosa. Perché nelle nostre vite fatte di carne e racconti, nulla si distrugge…
(Guanda; Noir)

Vite rubate – Marco Vichi e Leonardo Gori

Incipit Vite rubate - Marco Vichi

Incipit Vite rubate

Mandò giù l’ultimo sorso di birra e rimase seduto a guardare la cameriera che passava lo straccio davanti al bancone. L’aria puzzava di disinfettante. Oltre a lui nel bar c’era solo un vecchio che dormiva, seduto in un angolo. Marek si sentiva oppresso più del solito, ma non era colpa delle nuvole spesse che da molti giorni pesavano sui tetti di Cracovia. Aveva la testa ingombra di pensieri. Cosa aveva studiato a fare? Sua madre si era spezzata la schiena per mandarlo a scuola, ma non era servito a nulla. Il diploma poteva attaccarlo al muro per sputarci sopra ogni volta che ci passava davanti. Aveva fatto il camionista, l’aiutante idraulico, il giardiniere, il manovale, aveva cambiato le traversine della ferrovia, aveva pulito i vetri dei negozi. Sempre per una paga da fame. L’unico vantaggio era che aveva imparato un sacco di mestieri. L’ultima volta aveva lavorato come fabbro per un figlio di puttana che si divertiva a tormentarlo, e alla fine era stato lui ad andarsene. Adesso era di nuovo disoccupato. Cosa doveva fare? Quale santo doveva pregare? Non ne poteva più di miseria. Ogni sera a cena lui e sua mamma si lanciavano occhiate cariche di interrogativi, davanti a un piatto di cavolo o di patate. Tutta la casa era piena di santini appesi al muro o infilati nella cornice dei quadretti, ma per adesso non erano serviti a molto. In fondo non serviva a nulla nemmeno rodersi il fegato. E di certo non voleva mettersi a rubare, anche se in certi momenti pensava con amarezza che sarebbe stata la cosa più giusta. Perché doveva vivere così? Quale condanna stava scontando? Perché non poteva farcela anche lui? Per adesso gli sarebbe bastato un lavoro. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di guadagnare un po’ di soldi. Non ne poteva più di vedere sua madre lavorare come un mulo nelle case dei signori. Ma prima o poi le cose sarebbero cambiate. Ne era sicuro. Doveva esserne sicuro, altrimenti impazziva. Era giovane, poteva ancora sperare. Le rare volte che si lasciava andare dietro ai sogni immaginava di avere una piccola casa tutta sua, una bella moglie, dei figli. Chiedeva troppo? Lasciò i soldi sul tavolo e uscì nel vicolo. S’incamminò sul marciapiede, con i pugni dentro le tasche. Si rese conto di tenere la testa incassata nelle spalle, come quando da bambino si sentiva in colpa. Le facciate delle case sembravano cadergli addosso, e il rumore dei propri passi lo rendeva malinconico. Gli venne in mente suo padre, morto quindici anni prima in un cantiere dopo un volo di venti metri. Marek si ricordava bene la sua faccia tonda, sempre allegra. Era stato un bravo muratore, suo padre. Ogni tanto si fermava davanti a un palazzo e diceva con orgoglio, picchiando una mano sul muro: «Questo l’ho fatto io». Una mattina era uscito per andare al lavoro, senza sapere che non sarebbe più tornato a casa. Marek a quell’epoca aveva appena sette anni, ma quel giorno lontano gli sembrava ieri. Al funerale sua mamma aveva l’aria di uno spettro. Suo padre era stato murato in un loculo e così sia. Pace all’anima sua. Adesso non aveva più da soffrire. Erano i vivi quelli che stavano peggio.

Incipit tratto da:
Titolo: Vite rubate
Autori: Marco Vichi e Leonardo Gori
Casa editrice: Guanda
In copertina: illustrazione di Giancarlo Caligaris
Qui è possibile leggere le prime pagine di Vite rubate

Vite rubate - Marco Vichi e Leonardo Gori

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Quarta di copertina / Trama

Marek è disoccupato, ma nella vita ha fatto un po’ di tutto: il camionista, l’idraulico, il giardiniere, il manovale, sempre per una paga da fame. Sua mamma si è spezzata la schiena per fargli prendere il diploma, e a cosa è servito? Forse però ha trovato l’occasione per cambiare vita: ha letto sul giornale che cercano braccianti per raccogliere pomodori nel Sud Italia e non ci pensa due volte, lascia Cracovia per inseguire il sogno di un lavoro sicuro. Non ha idea di quello che troverà.
Ad Aleya invece non è mai stato concesso di sognare. In Nigeria ha scoperto presto che la sua bellezza è una condanna, che il suo corpo è un mero strumento di piacere per quegli uomini che la rapiscono e la scaricano come merce sulle coste italiane. Un destino terribile, che un giorno, inaspettatamente, incrocia quello di Marek innescando una scintilla di speranza. Da questo momento in poi, i due innamorati saranno disposti a qualunque sacrificio pur di non far spegnere la loro fiamma.
Un romanzo dal ritmo serrato, duro a tratti, che racconta la storia di un amore vero e intenso, e di un difficile riscatto nell’Italia dell’immigrazione e dello sfruttamento.
(Guanda; Narratori della Fenice)

Vite rubate - Audiolibro - Marco Vichi e Leonardo Gori