Il castello dei destini incrociati – Italo Calvino

Incipit Il castello dei destini incrociati – Italo Calvino

Incipit Il castello dei destini incrociati

In mezzo a un fitto bosco, un castello dava rifugio a quanti la notte aveva sorpreso in viaggio: cavalieri e dame, cortei reali e semplici viandanti.
Passai per un ponte levatoio sconnesso, smontai di sella in una corte buia, stallieri silenziosi presero in consegna il mio cavallo. Ero senza fiato; le gambe mi reggevano appena: da quando ero entrato nel bosco tali erano state le prove che mi erano occorse, gli incontri, le apparizioni, i duelli, che non riuscivo a ridare un ordine né ai movimenti né ai pensieri.

Incipit tratto da:
Titolo: Il castello dei destini incrociati
Autore: Italo Calvino
Casa editrice: Einaudi
Qui è possibile leggere le prime pagine di Il castello dei destini incrociati

Il castello dei destini incrociati - Italo Calvino -

Quarta di copertina / Trama

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…Il castello – anzi, ironia e stupore, «la magione» – è un luogo ambiguo, nobile e povero; cortese e insieme di torbida terrestrità; come un mazzo di carte, fitto di segni araldici, e maneggiato, lavorato dalla ilare iracondia, dai sudori rancorosi dei giocatori.
… Collocato al centro di una tavola alla quale seggono dame e cavalieri perennemente taciturni, quel mazzo è un catalogo dei possibili, un elenco di ipotesi, un dizionario criptico del mondo; nei loro segni si abbreviano i nodi fatali del destino umano; tutti insieme occupano uno spazio gelido e fastoso nel quale si allineano, mondati da ogni clamore quotidiano, gli eventi rituali e privilegiati, le sventure, le estasi, la morte, l’oscuro itinerario conoscitivo.
… La favola di Calvino tende a quello che, non senza insolenza, si potrebbe chiamare «realismo araldico»; e per questo appunto il racconto si colloca surrettiziamente in un genere antico, sapiente e sottile, che ci avevano assicurato essere «impossibile», e forse cominciavamo a crederci: è una favola didascalica, che in ogni frase, ogni passaggio presuppone una presenza iconica, e la annota, la accompagna, sapientemente mescolando chiarezza e inestricabile intrico, nella chiosa narrativa raccogliendo gioia e l’angoscia della infinita, stremata polivalenza dei significati.
Giorgio Manganelli

Il castello dei destini incrociati comincia come una delle raccolte di novelle che la tradizione picaresca e cervantina collocò sotto il tetto delle locande di passo, tra la voce acuta delle serve, l’acciottolio dei piatti e il brontolo degli osti, tra l’odore di stalla e il sentore troppo intenso di frittate e di grasso irrancidito; come se soltanto tra le mura di una locanda, in un momento di sosta lungo l’interminabile viaggio dell’esistenza, potesse prosperare il giovane, immaginoso e irregolare genio del romanzo. Anche nel racconto di Calvino, i personaggi giungono in una locanda circondata da un bosco inestricabile. Ecco gli avventurieri del mondo dei sogni, i re travestiti, le regine errabonde, i saggi, gli alchimisti, Elena di Troia, forse il diavolo camuffato, seduti insieme a cena, mentre i servi trinciano timballi di fagiano e versano pinte di vino.
Quando la cena è finita, ci attendiamo che gli eroi e le eroine, ispirati dal vino, dai cibi, e da quella specie di complicità che un pasto in comune risveglia negli uomini, comincino a raccontare le avventure della loro vita: amori, battaglie, conquiste, forse il disperato inseguimento dell’oro. Ma il luogo in cui Calvino ci ha condotti non è la locanda spagnola di Cervantes o quella inglese di Fielding, dove il romanzo celebrò la propria feconda giovinezza. Non è un luogo reale: ma uno spazio vuoto, abitato dall’arido fumo del Possibile e dalla nebbia del Capriccio Lunatico, dove si aggirano soltanto gli squisiti e moribondi fantasmi del racconto moderno. Per qualche strana maledizione, questi eroi e queste eroine hanno perduto la parola. Se ora, imitando gli eroi antichi, vogliono narrare la loro vita, debbono accontentarsi di gettare sulla tavola le carte dei tarocchi – Il Bagatto e La Papessa, L’imperatore e L’Imperatrice, La Morte e Il Diavolo, Il Sole e La Luna, Il Mondo e Il Matto
Pietro Citati

… L’operazione di Calvino sui tarocchi riesce addirittura più elegante e più preziosa, perché, non contento di eseguire con precisione le impegnative prescrizioni dei due dottori (Vladimir Propp e Claude Lévi-Strauss), le ha inquadrate con quel superbo artificio che Viktor Sklovskij) amabilmente definisce «schidionata» e che era tuttavia ben noto a Boccaccio e a Hoffmann e agli altri rinomati autori che hanno scelto di racchiudere le loro novelle, a gruppi, dentro un’ampia distesa cornice conviviale.
Alberto Arbrasino
(Ed. Einaudi)

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