La cappella di famiglia e altre storie di Vigàta – Andrea Camilleri

Incipit La cappella di famiglia e altre storie di Vigàta

Il fatto di sangue che rapprisintò l’accomenzo di ’sta storia capitò a novicento chilometri e passa da Vigàta e pricisamenti a Roma, capitali del Regno d’Italia.
Per essiri ancora cchiù pricisi, il fatto di sangue avvinni al centro della cità, nella vicinanza della chiazza del Pantheon, dintra a ’na squallita cammaruzza di un albirguzzo a ure, chiamato Rebecchino, indove che, il dù di marzo del milli e novicento e dudici, un tinenti di cavallaria che faciva la bella vita, ed era assà accanosciuto per le sò prodizze, il baroni Paternò, pugnalò a morti, ’n seguito a ’n’azzuffatina furibonna, alla sò amanti che lo voliva abbannunari per sempri doppo dù annate d’amori trubbolento, passionevoli e dispirato, a ti voglio e non ti voglio, a ora ti lasso e ora ti piglio.
’Na facenna accussì, per quanto un dilitto passionali potissi essiri un muccuneddro prilibato per la curiosità della genti, si sarebbi potuta concludiri bastevolmenti presto con una facciata di cronaca nei jornali romani. ’Nveci, appena che della fìmmina ammazzata si vinniro ad accanosciri nomi e cognomi, la notizia ’ngigantì di colpo, finenno supra alle primi pagini di tutti i jornali taliàni, dall’Alpi a Capo Passaro.
Pirchì la morta malamenti era nentidimeno che la billissima contissa Giulia Trigona di Sant’Elia, maritata, matre di dù figli, non sulo appartenenti all’alta nobiltà, ma soprattutto prima dama di cumpagnia nella corti di Sò Maistà la Rigina Elena.
Lo scannalo fu tanto e tali che arrischiò d’allordari l’ermellino ’mmacolato della stissa sovrana.
E scatinò non sulo chiacchiari e filame d’ogni generi ’ntorno a quello che succidiva a corti, ma macari portò ligna al foco della mai finuta guerra tra monarchici e repubblicani.

Incipit tratto da:
Titolo: La cappella di famiglia e altre storie di Vigàta
Autore: Andrea Camilleri
Casa editrice: Sellerio

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Copertina di La cappella di famiglia e altre storie di Vigata di Andrea Camilleri

Quarta di copertina / Trama

La cronaca contorta e pazza di Vigàta è uno spinaio di furfanterie, sgangheratezze, deliramenti, e intrichi d’amore: un intreccio di balordaggini pubbliche e di magnifiche stolidezze private. Nel villaggio, l’innocenza è spesso un candore temerario, un’allucinazione; e l’onestà è il capolavoro di falsari della morale e del buonsenso caritativo. Lo stesso crimine è un refuso dell’intelligenza, una morbida beffa. E la tristezza nuda di un cimitero si presta agli esercizi di un petrarchismo peloso versato nel corteggiamento di una Lauretta in abiti vedovili e alla resa dei conti tra parenti. Il camposanto diventa una gremita e agitata piazza d’armi e d’amori. Ci si mette anche il caso, che porta a rovescio ciò che si vorrebbe fosse il dritto. Le apparenze ingannano. E la realtà contempla situazioni che proliferano. Gli amori clandestini fanno sì che si formino collezioni di famiglie. La strampalatezza eccitabile è una corrente elettrica incontrollata: accende reazioni a catena, contagi come da «epidemia»; assurdità ossimoriche del tipo: «Un morto si reca all’obitorio ma cade strada facendo». Un dono di natura è capace di distorcere un’intera vita, e trasformare l’eletto in una «macchina» digerente, priva di «cuore», di «cervello», di funzioni sessuali.
L’arco cronologico è lungo. Va dal 1862 al 1950, dopo avere attraversato l’aria viziata di stupidità e dissennatezza del ventennio nero. Gli otto racconti, o «storie» vigatesi, fanno libro. Si sostengono a vicenda. E sono unificati dal comune assoggettamento al regime della voce poderosa del narratore, che risuona dentro la scrittura. Presentano tutti un umorismo a lenta combustione, che non dirompe se non fuori dalle pagine, nelle reazioni dei lettori. Camilleri surriscalda le scene con accortezza, per liberare alla fine volatili delizie perfettamente godibili, estremamente divertenti. Raccoglie (nei racconti intitolati Lo stivale di Garibaldi e La rettitudine fatta persona) l’eredità del Boccaccio, grande coreografo di processioni dietro reliquie che sacre non sono; e gran fabbro della «santità» blasfema di ser Ciappelletto. E se l’improbabile santità del personaggio di Camilleri non produrrà miracoli com’era accaduto con la «devozione» di «san Ciappelletto», un «miracolo» letterario operò di sicuro la «reliquia» di Garibaldi: «lo stivale insanguinato del Generalissimo». Alle onoranze dedicate allo stivale, alla processione, presero parte due giovani che ebbero così modo di affiatarsi e di promettersi. Si chiamavano Caterina e Stefano. Si sposarono. Dal loro matrimonio nacque Luigi Pirandello.
Salvatore Silvano Nigro
(Ed. Sellerio; La Memoria)

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