La giostra degli scambi – Andrea Camilleri

Alle cinco e mezza di quella matina

Incipit La giostra degli scambi

Alle cinco e mezza di quella matina, minuto cchiù minuto meno, ’na musca, che pariva da tempo morta ’mpiccicata supra al vitro della finestra, tutto ’nzemmula raprì l’ali, se l’annittò accuratamenti strofinannole, pigliò il volo, doppo tanticchia virò e si annò a posari supra al ripiano del commodino.
Ccà si nni ristò tanticchia ferma a considerari la situazioni e po’ volò sparata dintra alla narici mancina del naso di Montalbano che durmiva della bella.
Nel sonno, il commissario avvirtì un fastiddioso chiurito al naso e, per farisillo passari, si detti ’na forti manata supra alla facci. Ma, ’ntronato com’era per la durmuta in corso, non ne calcolò la forza, sicché la gran botta che s’ammollò ebbi dù risultati ’mmidiati: quello d’arrisbigliarlo e quello di scugnarigli il naso.
Si susì di cursa dal letto santianno a mitraglia mentri che il sangue gli nisciva a fontana, s’apprecipitò ’n cucina, raprì il frigorifiro, agguantò a dù cubetti di ghiazzo che s’applicò alla radici del naso e s’assittò tinenno la testa tutta ghittata narrè.
Passati cinco minuti il sangue attagnò.
Annò ’n bagno, si detti ’na lavatina alla facci, al collo e al petto e tornò a corcarisi.

Incipit tratto da:
Titolo: La giostra degli scambi
Autore: Andrea Camilleri
Casa editrice: Sellerio

Libri di Andrea Camilleri

Copertina di La giostra degli scambi di Andrea Camilleri

Quarta di copertina / Trama

Non abbagli la luce matta che, sugli schermi delle pagine, proietta comiche a rapidi scatti: una schermaglia rodomontesca con due mosche fastidiose; una rissa con attori che sbaccanano e come palla si involvono e rotolano, con braccia e gambe che si agitano, tra pugni e morsi, e lampi di lama; un commissario con un occhio pesto e un orecchio morsicato, che per «scangio» viene arrestato dai carabinieri; una servente che prende a padellate e fa prigioniero un intruso, che l’ha distolta dalle occupazioni culinarie; un signore ben curato e ben vestito, che più volte va a un appuntamento: a vuoto sempre, e deluso. E c’è anche il remake di una scenetta antica e surreale (dal Libro mio di Pontormo passata a Il contesto di Sciascia) di chi, con la mente scardinata, sta chiuso in casa, e a chi bussa risponde di non esserci. In così lunatica atmosfera sembra che i dettagli creino digressioni. Ma è negli interstizi che il mistero prospera, insondabile; e lento scivola, dilatatorio, deviando gli aghi di qualsivoglia bussola e decorando di apparenze ingannevoli le sue trame da brivido. Il romanzo è un pantanoso labirinto del malamore, di un tenebroso malessere: geloso oppure ossessivo. Nel dedalo di meandri, giravolte, gomiti d’ombra, nasconde una «camera della morte»: l’ultima, la più segreta, come quella delle mattanze nelle tonnare. A Vigàta i notturni sono di leopardiana bellezza. Non assolvono però il fruscìo di invisibili ali di tenebra. Montalbano si è svegliato con una premonizione. Avverte un nebbioso senso di irrealtà, che accredita i giochi di scambio e dà colore di vero alle messinscene di una recitazione truccata. È perplesso. Capisce che gli vengono offerte strade senza mete. Procede con cauta cordialità, e per sghimbescio. Il peso degli anni alla fine conta in positivo. Sui versi di Attilio Bertolucci, dedicati alla «neve» che incanutisce, accorda un sentimento di tenerezza per la fidanzata Livia: per le sue rughe incipienti, per i primi fili bianchi.
Quando tutto è sul punto di rivelarsi, un gelo senz’aria scende sul romanzo, sul raccapriccio. E intanto il lettore ha imparato a entrare, insieme a Montalbano, in una «camera della morte», e a tenersi rasente i muri per rendersi impercettibile e non turbare, con la sua presenza, la rannicchiata solitudine del commissario intento ad ascoltare ciò che quel luogo, debitamente interrogato, ha da raccontargli. Salvatore Silvano Nigro
(Ed. Sellerio; La memoria)

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