Almarina – Valeria Parrella

Incipit Almarina - Valeria Parrella

Incipit Almarina

Mi chiamo Elisabetta Maiorano, e non è che me lo stia chiedendo qualcuno: sono io che me lo ripeto in testa ogni volta che arrivo al varco di Nisida (come mi ripeto in testa il codice del bancomat mentre sto ancora camminando verso lo sportello). Ogni volta che entro mi sento in colpa. Alla sbarra, quando mi fermo per farmi riconoscere, mi viene da abbassare gli occhi, mostro il viso senza davvero guardare in faccia l’agente, come se avessi la macchina carica di cocaina. E la vedo alzarsi con uno sforzo enorme, quella sbarra, come se la dovessi sollevare io, fosse colpa mia che Nisida è un carcere minorile, le avessi scavate con le mie mani le strade di tufo che fanno arrampicare su la macchina. Come se mi stessero facendo un favore.
Appena arrivo davanti a quella sbarra perdo ogni diritto civile, ogni sostanza acquisita nel tempo, non sono piú nessuno, né una laureata, né un’insegnante che ha vinto concorsi, che ha fatto anni di supplenze al nord e sa rispondere male a chi non rispetta la fila. Quella che va a denunciare lo specchietto scassato, le gomme bucate, lo sportello rigato dalla chiave. («Perché signora, lei sa chi è stato?» «Sí lo so: un parcheggiatore abusivo sotto San Pasquale, che voleva i soldi e che gli ho detto che invece li davo a un musicista». «Mi sa che pure il musicista era abusivo»).
All’angolo della guardiola di Nisida mi lascio vivisezionare, ma è impressione solo mia, mi dico: ché tanta gente sale sopra alla mattina, educatori, insegnanti e maestri dei laboratori, e io ho pure la targa registrata, infatti mai che mi chiedano il perché. E forse manco lo sanno, loro, messi in servizio un giorno lí e il mese dopo dove, che saliamo la montagna del purgatorio, e quando scenderemo non saremo piú gli stessi.
Elisabetta Maiorano. Da tre anni vado in giro con il passaporto invece che con la carta d’identità, perché sul passaporto non c’è scritto lo stato civile, e io ho ancora la carta su cui stamparono «coniugata» e non ho nessuna voglia di tornare all’anagrafe per farmela aggiornare.
(C’era un sacco di polvere che rendeva l’atmosfera ironica, mentre facevo la carta d’identità: impossibile crederci davvero. Gli impiegati erano indistinguibili dai cittadini, o forse no: erano piú consunti, avevano maglioni che non sarebbero mai tornati di moda.
«Ma non si può mettere “omesso” a stato civile e lavoro?» «Signò, quando non volete far sapere che siete sposata usate il passaporto».

Incipit tratto da:
Titolo: Almarina
Autrice: Valeria Parrella
Copertina: Foto Paula Daniëlse / Getty Images
Casa editrice: Einaudi
Qui è possibile leggere le prime pagine di Almarina

Almarina - Valeria Parrella

Cronologia opere, libri, biografia di Valeria Parrella su Incipitmania

Quarta di copertina / Trama

Può una prigione rendere libero chi vi entra? Elisabetta insegna matematica nel carcere minorile di Nisida. Ogni mattina la sbarra si alza, la borsa finisce in un armadietto chiuso a chiave insieme a tutti i pensieri e inizia un tempo sospeso, un’isola nell’isola dove le colpe possono finalmente sciogliersi e sparire. Almarina è un’allieva nuova, ce la mette tutta ma i conti non le tornano: in quell’aula, se alzi gli occhi vedi l’orizzonte ma dalla porta non ti lasciano uscire. La libertà di due solitudini raccontata da una voce calda, intima, politica, capace di schiudere la testa e il cuore.
Esiste un’isola nel Mediterraneo dove i ragazzi non scendono mai a mare. Ormeggiata come un vascello, Nisida è un carcere sull’acqua, ed è lí che Elisabetta Maiorano insegna matematica a un gruppo di giovani detenuti. Ha cinquant’anni, vive sola, e ogni giorno una guardia le apre il cancello chiudendo Napoli alle spalle: in quella piccola aula senza sbarre lei prova a imbastire il futuro. Ma in classe un giorno arriva Almarina, allora la luce cambia e illumina un nuovo orizzonte. Il labirinto inestricabile della burocrazia, i lutti inaspettati, le notti insonni, rivelano l’altra loro possibilità: essere un punto di partenza. Nella speranza che un giorno, quando questi ragazzi avranno scontato la loro pena, ci siano nuove pagine da riempire, bianche «come il bucato steso alle terrazze». Questo romanzo limpido e intenso forse è una piccola storia d’amore, forse una grande lezione sulla possibilità di non fermarsi. Di espiare, dimenticare, ricominciare. «Vederli andare via è la cosa piú difficile, perché: dove andranno. Sono ancora cosí piccoli, e torneranno da dove sono venuti, e dove sono venuti è il motivo per cui stanno qui».
(Ed. Einaudi)