Autobiografia del Blu di Prussia – Ennio Flaiano

Incipit Autobiografia del Blu di Prussia

Il destino delle pagine perse è di salvare non l’anima del lettore ma le illusioni dell’autore il quale decide tuttavia di pubblicare queste, ricavandole da manoscritti dimenticati. Considerata la loro vecchiaia, le dedica ai fantasmi che gli fecero sembrare uno scherzo la giovinezza.
(La pietra turchina)

Incipit tratto da:
Titolo: Autobiografia del Blu di Prussia
Autore: Ennio Flaiano
Casa editrice: Rizzoli

Libri di Ennio Flaiano

Copertine di Autobiografia del Blu di Prussia di Ennio Flaiano

Quarta di copertina / Trama

Nel licenziare questa raccolta, è giusto che il curatore si chieda se questo libro postumo, in gran parte approvato dall’autore, ma che pure esce senza il suo “visto si stampi”, aggiunga qualche cosa alla figura di Flaiano, e se, almeno in parte, ne modifichi i contorni più noti, o la metta, tutta quanta, in una luce diversa. Ci sono scrittori dai quali, una volta passati a miglior vita, non ci aspettiamo più nulla: anche se la morte li colti operosi e sul punto di dirci ancora qualcosa. Sappiamo che la coscienza di artisti è sempre stata capace di padroneggiare la loro confusa, emotiva, esistenziale realtà. Eccezionali amministratori di se stessi, grandi attori professionisti, li abbiamo visti recitare, ogni sera, fedeli a una vocazione che combaciava con un mestiere lucidamente scelto, con una professione tenacemente esercitata. Sappiamo che nessuna delle loro fantasie andò persa, nessun pensiero fu dissipato. LA loro persona, il loro “io” è là, sigillato e racchiuso per sempre nelle loro “rappresentazioni”: nelle loro “opere”, come appunto si dice nelle orazioni funebri. Simile all’ultimo colpo di pollice che lo sculture lascia cadere con distacco sull’opera ormai finita, la morte scende su questi scrittori come un ritocco. Li aggiusta, li rifinisce, li pettina, e li consegna con un secco nullaosta all’eternità.
Ma ci sono scrittori che la morte tradisce e smaschera, vendica e prende di contropiede. Scrittori che la morte assolve, nel momento stesso in cui, come una madre severa, li costringe ad un’ identità sempre fuggita sempre temuta e rinviata attraverso tortuose dissipazioni, astuti alibi che tutti insieme formavano una lunga, lunghissima catena di appuntamenti mancati. È nelle carte improvvisate e superstiti di questi scrittori che cerchiamo il foglietto, l’appunto, il taccuino, il manoscritto rivelatore come sarebbe la testimonianza di uno spettacolo o di una rappresentazione alla quale nessuno a assistito. Non importa se questi scrittori siano piccoli o grandi, perché quello che cerchiamo di loro è una verità che non ci è stata detta, e che pure è stata affidata alla caduca volubilità della vita. Cerchiamo, nei loro cassetti, ciò che di loro è andato perduto.
Quale sia il giudizio sulla sua opera, Flaiano appartiene a questa famiglia. Con la sua andatura trotterellante, egli va ad affratellarsi e a raggiungere, su questa strada, e magari a rallegrarsi con la petulanza dei suoi calembours, esseri diversissimi da lui: esemplari inarrivabili come Carlo Emilio Gadda e Giacomo Debenedetti, o supremi campioni come Delfini: tutti e tre, chi più chi meno, grandi attori di scena postuma e vuota. Anche su Flaiano la morte non è scesa come un colpo di pollice. Al contrario, essa sembra lavorare su di lui con le magre dita di un bambino intento a rimuovere a poco a poco, con solerzia inesorabile, la nebbiosa velina della decalcomania fino a scoprire umidi e lucenti i contorni di una figura che confusamente intravedevamo. È triste e perfino cinico dirlo. Ma la morte non ci ha tolto Flaiano. La morte ce lo restituisce.
Cesare Garboli
(Ed. Rizzoli; 1974)

Cronologia opere e bibliografia di Ennio Flaiano