Incipit L’assenza dell’assenzio
Mi svegliai con il viso sprofondato nel pelo pubico di una sconosciuta. Avevo trentacinque anni. Come dire: «Nel mezzo del cammin di nostra vita / mi ritrovai per una selva oscura…».
Incipit tratto da:
La linea retta è il metodo più veloce per arrivare a un punto e fare il punto della situazione. Ma è anche il più noioso. Meglio qualcosa di più curvilineo, come il sedere di una pin-up, di più arabescato, come un racconto di Poe o una parentesi graffa. Meglio perdersi in sentieri tortuosi, aerobici, erotici a volte. Contorti come le bizze del legno su un bastone nodoso. Illogici come le pizze di un pizzaiolo ubriaco. Non c’è fretta. Anche perché, man mano che ci avviciniamo al punto, lui si fa sempre più grande e, quando l’abbiamo raggiunto, è ormai gigantesco e impaziente di inghiottirci. Talvolta, però, questi punti neri, questi buchi neri non segnano necessariamente la fine della pista. Il punto di non ritorno è verticale. Ce ne sono un’infinità di orizzontali disseminati sul campo brullo della retta via e sul campo minato dei sentieri tortuosi. Anche questi buchi ti ingoiano come buche di un flipper, un reperto archeologico, ma la caduta non è normale.
Titolo: L’assenza dell’assenzio
Autore: Andrea G. Pinketts
Casa editrice: Mondadori
Quarta di copertina / Trama
Rimbaud smise di scrivere a diciannove anni, quando lasciatosi alle spalle l’assenzio, la droga dei poeti maledetti, si mise a fare l’avventuriero. Lazzaro Santandrea, benché giunto a un’età assai più matura, continua ad assumere assenzio senza smettere di fare l’avventuriero e, nel mezzo del cammin della sua vita, si trova alle prese con inferni che nemmeno l’immaginazione di Dante avrebbe potuto evocare.
(Ed. Mondadori)
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