Un bastimento carico di riso – Alicia Giménez-Bartlett

Incipit Un bastimento carico di riso – Alicia Giménez-Bartlett

Incipit Un bastimento carico di riso

Garzón non capiva perché quel cadavere mi colpisse tanto, e non riusciva nemmeno a spiegarsi la natura della mia emozione. Secondo lui ormai avevamo visto più morti di Napoleone e Nelson messi insieme, e non si poteva certo dire che quella mattina il Parque de la Ciudadela fosse il campo di Waterloo dopo la battaglia. Un barbone sdraiato su una panchina, questo era tutto. Sembrava semplicemente che fosse rimasto addormentato e che, nonostante quel che gli stava capitando intorno, non si fosse ancora svegliato. L’avevano ammazzato di botte, ma nessuno era riuscito a cancellargli dalla faccia una serena dignità. Mani lunghe, barba bianca e fluente… era come re Lear nella tempesta, abbattuto dalla folgore, solo, immobile, a ricordare con la sua magnificenza che, perfino così abbandonato, era pur sempre un re.
– Sciocchezze, ispettore… – La voce del mio sottoposto mi riportò alla realtà, – … un re della zozzeria, vorrà dire. Provi a togliergli le scarpe e a dargli un’occhiata ai piedi. Di sicuro nessun re è mai stato profumato come lui.

Incipit tratto da:
Titolo: Un bastimento carico di riso
Autrice: Alicia Giménez-Bartlett
Traduzione: Maria Nicola
Titolo originale: Un barco cargado de arroz
Casa editrice: Sellerio
Qui è possibile leggere le prime pagine di Un bastimento carico di riso

Un bastimento carico di riso – Alicia Giménez-Bartlett

Quarta di copertina / Trama

L’assassinio di un barbone, anche se calza scarpe inspiegabilmente eleganti e costose, non è un evento che possa commuovere i commissariati di Barcellona, come di ogni parte del mondo. Troppo l’impegno per un risultato comunque di scarsa importanza, visto che i barboni, di fatto, vivono in un mondo in tutto separato e parallelo che solo apparentemente, o occasionalmente, occupa lo spazio e il tempo del nostro mondo ordinario e savio. Ma per la sfortuna degli assassini di questo complicato caso poliziesco, che non si ferma al primo omicidio, che prende due piste e poi le abbandona, che porta alla fine a una (come sempre) disincantata soluzione che ci disamora della saviezza del nostro mondo – è proprio questo parallelismo ad ammaliare Petra Delicado, ispettore della polizia di Barcellona, a far vibrare la corda segreta della sua simpateticità: «ebbi paura, una paura spaventosa perché quello sguardo mi aveva condotto ai confini di un territorio che esisteva anche dentro di me». Per lei «i barboni sono come dei re, che hanno qualcosa di mistico» come ironizza il suo vice Garzón, trascinato ancora una volta nella sarabanda di combinazioni, equivoci, casi e personaggi di strada in cui consiste un’inchiesta alla maniera di Petra. Una maniera che deve il suo fascino (e il suo successo di lettori, e l’ammirazione dei critici) al sistema di elementi romanzeschi che riesce a incardinare in armonia compiuta: il movimento reale dell’inchiesta sul territorio fatta da poliziotti verissimi; la commedia di un dialogo di puro divertimento, che proietta il lettore nelle vite private complicate dei due protagonisti, e nella loro opposta visione del mondo; la capacità di Petra di assorbire delle situazioni la loro verità umana, come un Maigret cresciuto nel femminismo; l’amore per la scena, per il linguaggio, per la vocazione ad essere – direbbe Camilleri – «tragediatori» da parte delle maschere che affollano il palcoscenico della storia.
(Ed. Sellerio; La Memoria)

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