Il campo del vasaio – Andrea Camilleri

L’arrisbigliò una tuppiata forte e insistente alla porta di casa

Incipit Il Campo Del Vasaio

L’arrisbigliò una tuppiata forte e insistente alla porta di casa, tuppiavano alla dispirata, con le mano e con i pedi, ma curiosamente non sonavano il campanello. Taliò verso la finestra, dalla persiana ‘nserrata non filtrava lume d’alba, fora era ancora scuro fitto. O meglio, dalla finestra ogni tanto arrivava un lampo tradimentoso che agghiazzava la càmmara seguito da una truniata che faciva vibrare i vetri; il temporale che aviva principiato il jorno avanti continuava sempre cchiù ‘ncaniato. Però, cosa stramma, non si sintiva la rumorata del mari grosso che doviva essersi mangiato la spiaggia arrivando fino a sutta alla verandina. Circo tastianno la base del lumetto che tiniva supra il commodino, premette il pulsante che fici clic, ma la luci non s’addrumò. Si era fulminata la lampatina o mancava la corrente ? Si susì, un addrizzuni di f riddo gli curri longo longo la schina. Dalla persiana non trasivano sulo lampi, ma macari lame di vento gelido. Manco l’interruttore del lampadario desi luci, forse la corrente fagliava a causa del temporale.

Incipit tratto da:
Titolo: Il campo del vasaio
Autore: Andrea Camilleri
Casa editrice: Sellerio

Libri di Andrea Camilleri

Copertina di Il campo del vasaio di Andrea Camilleri

Quarta di copertina / Trama

Il campo del vasaio, detto anche del sangue, è luogo che appartiene alla topografia morale. Designa una contrada maligna, putrida e pantanosa: un anfrattuoso cimitero di argille; uno smortume di forre e borri. La località è il quadrante tartareo del tradimento. Venne acquistato con il «prezzo del sangue»: con i trenta denari di Giuda. E accolse le viscere sparse dell’apostolo traditore, lì impiccatosi. In un campo del vasaio vengono trovati i trenta «tagli» di un uomo: prima giustiziato, con un colpo alla nuca; poi macellato. Sembrerebbe un delitto di mafia eseguito con puntigliosa esattezza, secondo il rituale arcaico riservato a quanti hanno tradito. Ma il tradimento è una macchinazione che dà a intendere quel che non è. Corre su un’incerta frontiera. Tra vero e falso. E anche i luoghi e le cose tradiscono, in questo romanzo. Lo stesso Montalbano, sempre più soliloquista e monologante, su declivi di stanchezza, è posseduto da uno stupore notturno: dai lumi ciechi di un incubo traditore che lo gela, come dentro un cubo di ghiaccio, in mezzo al fracasso dei turbini. Il commissario dovrà smorfiare i segni sghembi delle premonizioni, e sventare le trame nascoste di un tradimento che lo coinvolge e lo tocca fino alle lacrime. Una signora dei trucchi, una maliarda, ha portato scompiglio nel commissariato di Vigàta. Sa come affascinare gli animi anche riluttanti. Sa come stornarli, e come condannarli a una dipendenza vergognosa. Somiglia all’Angelica dell’Orlando innamorato di Boiardo. Esotica e ingannatrice anch’essa: venuta dalla Colombia, come l’altra dal Cataio; entrambe perfide, fatte di «màrmaro e d’azzaro». Si chiama Dolores, la nuova principessa degli inganni: «Dolorosa», nella pronuncia di Catarella. Ha adescato il «paladino» più vicino a Montalbano. E lo sobilla, per «tradire» l’inchiesta. Il «paladino» subisce il sortilegio. Ma, segretamente, vorrebbe essere redento. Montalbano riuscirà a soccorrere l’amico, e a deludere le falsità con altre falsità. Procederà in punta d’ingegno: abile nello sgambetto e nel contropiede. Ingannerà la traditora. Esorcizzerà gli influssi nefasti del campo del vasaio, i suoi pronostici tradimentosi. Con una meditazione calma, ancorché sconsolata. Lui, Montalbano, è il «poviro puparo» di una dispersa e «mischina opira dei pupi»: «la fatica si faciva ogni volta cchiù grossa, ogni volta cchiù pisanti. Fino a quanno avrebbe potuto reggiri?».
Salvatore Silvano Nigro
(Ed. Sellerio; La memoria)

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