Il casellante – Andrea Camilleri

I treno a scartamento ridotto che si partiva dalla stazioni nica nica di Vigàta-Cannelle diretto a Castellovitrano

Incipit Il Casellante

I treno a scartamento ridotto che si partiva dalla stazioni nica nica di Vigàta-Cannelle diretto a Castellovitrano, ultimo paisi sirvuto dalla linea, ci mittiva chiossà di ‘na mezza jornata per arrivari a distinazioni, dato che le firmate previste erano squasi ‘na vintina, a non considerari quelle impreviste dovute a traversamenti di mannare di crape e pecori opuro a qualiche vacca che pinsava bono d’addrummiscirisi ‘n mezzo alle rotaie.
I treni in servizio erano come a dù frati gemelli: la locomotiva a carbone col tender che trainava tri vitture passiggeri ognuna con una speci di verandina che di stati viniva addotata di tendine laterali colorate a strisce virdi e rosse per arripararisi dal sole.

Incipit tratto da:
Titolo: Il casellante
Autore: Andrea Camilleri
Casa editrice: Sellerio

Libri di Andrea Camilleri

Copertina di Il casellante di Andrea Camilleri

Quarta di copertina / Trama

Raccontano, le cronache dell’antichità mitica, di metamorfosi varie. E di Niobe, madre superba dapprima, e poi dolorosissima. Gli dèi le uccisero i figli, per vendetta. Ne ebbero pietà alla fine. E la trasformarono in pietra. Ma da quel sasso, da quella roccia insensibile, sgorgò una sorgente di lacrime. Anche a Vigàta accadono fatti da far girare le sante cose, i cosiddetti cabasisi, nell’anno di grazia 1942: mentre guasconeggiano marronate fascistissime, e svampano i primi fuochi che scommuovono l’aria e preludono allo sbarco degli alleati. Non ci sono dèi a Vigàta. Ma regolarità abitudinarie. Treni che vanno e vengono strasciconi. Concertini domenicali. Rispetti e convenevoli. Prodigi d’ingegno anche, di brava gente e di uomini d’onore. E arcaici istinti, primitività animale, e violenza selvaggia nell’ombra. La mostruosità è dentro, negli interstizi della feriale convivenza. Cospira. E quando esplode, feroce e distruttiva, è la provvidenza del dolore a intervenire. Con il ritorno delle antiche metamorfosi. Con la pietrificazione. O con la regressione vegetale, che è tentativo disperato di riaccedere al ciclo vitale della natura. Camilleri è il cronista, il favolista e il mitografo della comunità vigatese. Racconta di Minica e di suo marito, il casellante Nino Zarcuto. Della loro modesta vita nella solitaria casetta gialla, accanto a un pozzo e a un ulivo saraceno: in mezzo a un paesaggio arcigno, blandito dal vicino mare e dalla luce. Vogliono la grazia di un figlio, i due casellanti. Si prodigano. Ma la violenza è un gorgo voraginoso, che risucchia i due coniugi. Il dolore è atroce, straziante. Pietrifica. Minica è una Niobe, ora in un’umile mitologia rusticale. Ha per occhi due laghi traboccanti. Vuole essere madre tuttavia. È ostinata. Una fantasticheria vegetale le fa credere di poter diventare albero. Di mettere radici e di dar frutti, dopo essere stata innestata. Il marito l’asseconda, amoroso e sollecito. Il figlio arriva infine, come arrivano i miracoli: donato dagli scrolloni della morte e della guerra. Camilleri si apposta negli svolti della tragedia. E aspetta il lettore, con una candela accesa in mano.
Salvatore Silvano Nigro
(Ed. Sellerio; La memoria)

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