Il corso delle cose – Andrea Camilleri

– Che tramonto bello! –

Incipit Il Corso Delle Cose

– Che tramonto bello! – fece il maresciallo Corbo scostando per un attimo il fazzoletto che teneva premuto sul naso. – Ce ne sono, dalle parti tue, tramonti così? –
Il carabiniere Tognin avrebbe voluto rispondere di sì a parole, dire che dalle parti sue forse ce n’erano di meglio, ma era di Venezia, a certi spettacoli non era ancora abituato e sentiva di tanto in tanto uno strizzone di vomito che gli contraeva lo stomaco. Fece solo un cenno affermativo con la testa.
Effettivamente il tramonto era da godersi. Lontano, a ponente, verso il mare distante qualche chilometro, la sagoma frastagliata di Capo Rossello spiccava controluce, scura, sullo specchio calmo, arrossato, mentre da levante cariche nuvole d’acqua arrancavano verso il paese appena visibile ai piedi della collina sulla quale loro si trovavano. Un contrasto netto, tagliato sol coltello, che aumentava il disagio di Tognin abituato a un paesaggio più morbido e pacifico.

Incipit tratto da:
Titolo: Il corso delle cose
Autore: Andrea Camilleri
Casa editrice: Sellerio

Libri di Andrea Camilleri

Copertine di Il corso delle cose di Andrea Camilleri

Quarta di copertina / Trama

Il titolo del romanzo prende lo spunto da una frase di Merleau-Ponty, «il corso delle cose è sinuoso». Frase che si attaglia perfettamente a certa realtà siciliana che abbiamo imparato a conoscere da Capuana a Pirandello, da Brancati a Sciascia. Questa realtà sembra sfuggire tra le mani dell’osservatore, tutta intessuta com’è di moventi umani elementari ma oscuri, di gesti cerimoniali che alludono a una seconda natura, a un’ipotesi dell’uomo non misurabile secondo i parametri della logica. La prima virtù del romanzo è la costruzione: Camilleri sa intrecciare le fila di un «mistero» con rara abilità, conducendo il lettore sulle vie pericolose e stregate dell’ipotesi mentale, della domanda continua. Ma reso omaggio a questa abilità, che la pratica drammaturgica può aver favorito, bisogna sottolineare la densità dell’atmosfera siciliana evocata e, più ancora, le sottili qualità della scrittura. Certe ore, certe figure appaiono in piena evidenza grazie a un uso morbido e sornione della parola che forma una sua musica molto riconoscibile. Ruggero Jacobbi, 1979.
(Ed. Sellerio; La Memoria)

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