Incipit La confraternita dell’uva
Qui è possibile leggere le prime pagine di La confraternita dell’uvaUna sera, lo scorso settembre, telefona mio fratello da San Elmo per informarmi che mamma e papà avevano tirato in ballo un’altra volta la faccenda del divorzio.
Incipit tratto da:
-Bè, che c’è di nuovo?
-Stavolta fanno sul serio, – disse Mario. Nicholas e Maria Molise erano sposati da cinquantun anni. Fin dall’inizio il loro era stato un rapporto agitato, tenuto insieme dall’indefettibile fede cattolica di mia madre che soleva punire il marito per il tramite di una esasperante tolleranza dell’egoismo e del menefreghismo di lui; pure, lasciarsi così avanti negli anni aveva ormai l’aria di una suprema follia da parte di quei due vecchietti (mia madre ne aveva settantaquattro e mio padre due di più).
Chiesi a Mario quale fosse stavolta il problema.
-Adulterio. L’ha beccato con le mani nel sacco. Risi. – Il vecchio? Andiamo, come può essere colpevole di adulterio?
Titolo: La Confraternita del Chianti o La confraternita dell’uva
Autore: John Fante
Traduzione: Francesco Durante
Titolo originale: The Brotherhood of the Grape
Casa editrice: Einaudi
Incipit The Brotherhood of the Grape
One night last September my brother phoned from San Elmo to report that Mama and Papa were again talking about divorce.
Incipit tratto da:
“So what else is new?”
“This time it’s for real,” Mario said.
Title: The Brotherhood of the Grape
Author: John Fante
Publisher: Black Sparrow Press
Language: English
Quarta di copertina / Trama
«Me ne sto seduto nella mia stanza piccola e sudicia a succhiarmi il pollice cercando di scrivere un romanzo… La storia di quattro italiani vecchi e ubriaconi di Roseville». Il romanzo è La confraternita dell’uva, pubblicato per la prima volta nel 1974 e destinato a diventare uno dei libri piú amati di Fante. Al centro si erge ingombrante e granitica la figura del padre, Nick Molise, il tirannico e orgoglioso primo scalpellino d’America – o cosí almeno lui crede di essere. L’immigrato di prima generazione nel quale, come nel gruppo dei suoi compaesani, Fante racchiude il ritratto piú nitido della prima generazione italoamericana, quel mondo di uomini di testarda virilità guardati con inorridita inquietudine dagli americani persuasi «che gli italiani fossero creature di sangue africano, che girassero tutti col coltello, e che la nazione si trovasse ormai nelle grinfie della mafia». Un’elegia dissacrante e commovente che tocca fino alle lacrime.
(Ed. Einaudi)
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