La forma dell’acqua – Andrea Camilleri

Lume d’alba non filtrava nel cortiglio della «Splendor»

Incipit La forma dell’acqua

Lume d’alba non filtrava nel cortiglio della «Splendor», la società che aveva in appalto la nettezza urbana di Vigàta, una nuvolaglia bassa e densa cummigliava completamente il cielo come se fosse stato tirato un telone grigio da cornicione a cornicione, foglia non si cataminava, il vento di scirocco tardava ad arrisbigliarsi dal suo sonno piombigno, già si faticava a scangiare parole. Il caposquadra, prima di assegnare i posti, comunicò che per quel giorno, e altri a venire, Peppe Schèmmari e Caluzzo Brucculeri sarebbero stati assenti giustificati. Più che giustificata infatti l’assenza: i due erano stati arrestati la sera avanti mentre tentavano di rapinare il supermercato, armi alla mano. A Pino Catalano e a Saro Montaperto, giovani geometri debitamente disoccupati come geometri, ma assunti in qualità di «operatori ecologici» avventizi in seguito al generoso intervento dell’onorevole Cusumano, per la cui campagna elettorale i due si erano battuti corpo e anima (esattamente nell’ordine: il corpo facendo assai più di quanto l’anima fosse disposta a fare), il caposquadra assegnò il posto lasciato vacante da Peppe e Caluzzo, e precisamente il settore detto la mannara, perché in tempi immemorabili pare che un pastore avesse usato tenervi le sue capre. Era un largo tratto di macchia mediterranea alla periferia del paese che si spingeva quasi fin sulla pilaia, con alle spalle i resti di un grande stabilimento chimico, inaugurato dall’onnipresente onorevole Cusumano quando pareva che forte tirasse il vento delle magnifiche sorti e progressive, poi quel venticello rapidamente si era cangiato in un filo di brezza e quindi si era abbacato del tutto: era stato capace però di fare più danno di un tornado, lasciandosi alle spalle una scia di cassintegrati e disoccupati. Per evitare che le torme vaganti in paese di nìvuri e meno nìvuri, senegalesi e algerini, tunisini e libici, in quella fabbrica facessero nido, torno torno vi era stato alzato un alto muro, al di sopra del quale le strutture corrose da malottempo, incuria e sale marino, ancora svettavano, sempre più simili all’architettura di un Gaudi in preda ad allucinogeni.

Incipit tratto da:
Titolo: La forma dell’acqua
Autore: Andrea Camilleri
Casa editrice: Sellerio

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Risvolto di copertina / Trama

Il primo omicidio letterario in terra di mafia della seconda repubblica – un omicidio eccellente seguito da un altro, secondo il decorso cui hanno abituato le cronache della criminalità organizzata – ha la forma dell’acqua («”Che fai?” gli domandai. E lui, a sua volta, mi fece una domanda. “Qual è la forma dell’acqua?”. “Ma l’acqua non ha forma!” dissi ridendo: “Piglia la forma che le viene data”»). Prende la forma del recipiente che lo contiene. E la morte dell’ingegnere Luparello si spande tra gli alambicchi ritorti e i vasi inopinatamente comunicanti del comitato affaristico politico-mafioso che domina la cittadina di Vigàta, anche dopo il crollo apparente del vecchio ceto dirigente. Questa è la sua forma. Ma la sua sostanza (il colpevole, il movente, le circostanze dell’assassinio) è più antica, più resistente, forse di maggior pessimismo: più appassionante per un perfetto racconto poliziesco. L’autore del quale, Andrea Camilleri, è uno scrittore e uno sceneggiatore che pratica il giallo e l’intreccio con una facilità e una felicità d’inventiva, un’ironia e un’intelligenza di scrittura che – oltre il divertimento severo del genere giallo – appartengono all’arte del raccontare. Cioè all’ingegno paradossale di far vedere all’occhio del lettore ciò che si racconta, e di contemporaneamente stringere con la sua mente la rete delle sottili intese.
(Ed. Sellerio; La memoria)

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