Il ladro di merendine – Andrea Camilleri

S’arrisbiglio malamente

Incipit Il Ladro Di Merendine

S’arrisbiglio malamente: i linzuòla, nel sudatizzo del sonno agitato per via del chilo e mezzo di sarde a beccafico che la sera avanti si era sbafàto, gli erano strettamente arruvavugliate torno torno il corpo, gli parse d’essere addiventato una mummia. Si susì, andò in cucina, riaprì il frigorifero, si scolò mezza bottiglia d’acqua aggilàta. Mentre beveva, taliò fòra dalla finestra spalancata. La luce dell’alba prometteva giornata bona, il mare una tavola, il cielo chiaro senza nuvole. Montalbano, soggetto com’era al tempo che faceva, si sentì rassicurato circa l’umore che avrebbe avuto nelle ore a venire. Era ancora troppo presto, si ricurcò, si predispose ad altre due ore di dormitina tirandosi il linzòlo sopra la testa. Pensò, come sempre faceva prima d’addormentarsi, a Livia nel suo letto di Boccadasse, Genova: era una prisenza propiziatrice a ogni viaggio, lungo o breve che fosse, in “The country sleep” come faceva una poesia di Dylan Thomas che gli era piaciuta assà.

Incipit tratto da:
Titolo: Il ladro di merendine
Autore: Andrea Camilleri
Casa editrice: Sellerio

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Copertine di Il Ladro di merendine di Andrea Camilleri

Risvolto di copertina / Trama

Dopo La forma dell’acqua e Il cane di terracotta questo è il terzo «giallo» di Andrea Camilleri ad avere come protagonista Salvo Montalbano, il commissario di stanza a Vigàta, «il centro più inventato della Sicilia più tipica». Questa volta Montalbano – preoccupato peraltro di evitare la promozione a vicequestore, che significherebbe compromissione burocratica e rinuncia ai propri capricci investigativi – sospetta l’esistenza di un collegamento tra due morti violente: quella di un tunisino imbarcato su di un motopeschereccio di Mazara del Vallo e quella di un commerciante di Vigàta accoltellato dentro un ascensore. Per Camilleri la Sicilia di oggi è fonte continua di ispirazione e di scoperta, di intrecci di romanzo poliziesco e di osservazioni su di un costume magari inquietante ma certamente non statico; soprattutto gli suggerisce un linguaggio, una parlata mai banale né risaputa. Tutto il contrario delle metafore viete e irritanti adoperate dagli uomini dei servizi segreti con i quali Montalbano si trova a scontrarsi duramente: figure retoriche sempre più incapaci di reggere il discorso della «ragion di stato» quando ormai, come osserva il nostro commissario, «praticamente serviamo due stati diversi».
(Ed. Sellerio; La memoria)

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