Una lama di luce – Andrea Camilleri

La matinata, sino dalla prim’alba, si era addimostrata volubili e crapicciosa.

Incipit Una lama di luce

La matinata, sino dalla prim’alba, si era addimostrata volubili e crapicciosa. Epperciò, per contagio, macari il comportamento di Montalbano, in quella matinata, sarebbi stato minimo minimo instabili. La meglio era, quanno capitava, di vidiri il meno nummaro di pirsone possibbili.
Cchiù passavano l’anni e cchiù s’addimostrava d’umori sensibili alle variazioni climatiche, all’istesso modo che una maggiori o minori umidità agisci supra ai dolori d’ossa di un vecchio. E arrinisciva sempri meno a controllarisi, ad ammucciari l’eccessi d’alligria o di grivianza.
Nel tempo che ci aviva dovuto ‘mpiegari per arrivari dalla sò casa di Marinella insino alla contrata Casuzza, sì e no ‘na quinnicina di chilometri ma tutti fatti di trazzere bone per cingolati o di stratuzze di campagna tanticchia meno larghe della larghizza della machina, il celo dal rosa chiaro era passato al grigio e po’ dal grigio si era convirtuto al cilestre splapito per firmarisi momintaneo a un bianchizzo neglioso che sfumava i contorni e confonniva la vista.

Incipit tratto da:
Titolo: Una lama di luce
Autore: Andrea Camilleri
Casa editrice: Sellerio

Libri di Andrea Camilleri

Copertina di Una lama di luce di Andrea Camilleri

Quarta di copertina / Trama

Un gorgo d’angoscia governa l’alterno respiro delle storie che nel romanzo si tramescolano. Il commissario Montalbano è in apprensione. Gli orli sfumati di un sogno trasudano malessere, sensazioni superstiziose, oscure premonizioni. Un pensiero laterale stenta a chiarirsi, e perdura nella realtà come sospettosa vigilanza; e come soprassalto a ogni minima coincidenza con lo squallore infausto del sogno che di uno straccio di terra aspra e solitaria ha fatto un obitorio a cielo aperto, con bara chiusa e cadavere da riconoscere, sotto una luce itterica e di meteoropatica influenza. Persino il consueto barbugliamento di Catarella si è dato in sogno negli arcani costernanti di una locuzione latina.
La rotta sequenza delle indagini, su un’aggressione a mano armata e violenza carnale, su un traffico d’armi, e su degli esportatori di opere d’arte rubate, allinea e intreccia storie di donne di forte e deciso temperamento; mentre il commissario, così esposto al lato oscuro delle cose e ai clandestini giochi della mente, è in attesa che qualcosa di non del tutto delucidato esca fuori, alla fine, da un qualche retroscena, e si riveli.
Si sedimenta lo spaesamento in Montalbano. Nella vita del commissario va crescendo un senso di solitudine che accascia e predispone a una morbidità di sentimento. Livia continua a essere una voce nel telefono, una minaccia costante e fastidiosa di baruffe. Un’assenza. Una lontananza impegnativa. Irrompe in carne e ossa una donna fatale, intanto, arsa dal desiderio. La donna è una gallerista. Sa quel che vuole. E va dritta e sicura allo scopo. È esplicita. Si propone e si offre con caldissima generosità. È tollerante e comprensiva. Non ricorre alle lagne, come Livia, e alle recriminazioni. Accetta tutto: dimenticanze, goffaggini, temperata emotività. Montalbano corrisponde. Anche se il sì e il no non gli suonano interi, dentro. Con palese viltà, il commissario temporeggia con Livia. Se ne sta accucciato nell’irresolutezza. Si rifiuta di conoscersi a fondo. Ricorre alle finterie, ai sotterfugi. Traccheggia. Fino a quando il sogno non porta a compimento la minaccia che adombrava, apparecchiandogli nel romanzo, a indagini fatte e consumate, e fuori di ogni onirica menzogna, una cassa da morto ad assi povere con dentro una salma che appartiene alla memoria più profonda, indelebile, quasi incistata nella carne, del suo rapporto con Livia. La dolorosa agnizione trasforma il romanzo in una grande tragedia familiare. Il finale è l’eruzione d’ombra, in un lembo di terra desolatamente infeconda, di una disperata, lontanante, «lama di luce» che taglia e trafigge come un addio.
Salvatore Silvano Nigro
(Ed. Sellerio; La Memoria)

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