Maruzza Musumeci – Andrea Camilleri

Gnazio Manisco ricomparse a Vigàta il tri di ghinnaro del milli e ottocento e novantacinco

Incipit Maruzza Musumeci

Gnazio Manisco ricomparse a Vigàta il tri di ghinnaro del milli e ottocento e novantacinco, che era oramà quarantacinchino, e in paìsi nisciuno sapiva cchiù chi era e lui stisso non accanosceva cchiù a nisciuno doppo vinticinco anni passati nella Merica.
Fino a che era squasi vintino aviva travagliato come stascionale spostannosi, con sò matri e la comarca dei bracianti, di campagna in campagna indove che c’era ora da fari la rimunna degli àrboli, ora da cogliere le mennuli o le aulive, le fave o i piseddri, e ora da pigliari parte alla vinnemmia.
Di sò patri non sapiva nenti di nenti, fatta cizzione che si chiamava Cola, che sinni era ghiuto nella Merica che lui era dintra alla panza di sò matri e che non aviva dato cchiù notizie, né tinte né bone. Allura so matri si era vinnuta la bitazione che avivano in paìsi, fatta di una sola cammareddra, tanto i bracianti non hanno di bisogno di un tetto, dormono al sireno, allo stiddrato, e se chiovi s’arriparano sutta all’àrboli, e il dinaro se l’era mittuto dintra a un fazzoletto ammucciato nella pettorina. Alla fine di ogni simanata, tirava fora il fazzoletto e ci ‘nfilava dintra quella parte dei dinari della paga che era arrinisciuta a sparagnare.

Incipit tratto da:
Titolo: Maruzza Musumeci
Autore: Andrea Camilleri
Casa editrice: Sellerio

Libri di Andrea Camilleri

Copertina di Maruzza Musumeci di Andrea Camilleri

Quarta di copertina / Trama

Questo «cunto» è una maneggevole storia naturale delle Sirene. E anche una «storia morale». La vicenda si svolge a Vigàta, tra Ottocento e Novecento. In contrada Ninfa, che è una lingua di terra sul mare: un’isola immaginaria, odissiaca, che figura ancora sulle rotte dei mitici navigatori; ed è visitata dai sogni incompiuti dalle metamorfosi di pescatori, naiadi, e cretaure marine. Le Sirene non sono pesci con il rossetto. Sono donne feconde, terribilmente seducenti. Vivono tra gli uomini. Abitano gli stessi luoghi, ma non vivono nello stesso tempo. Vengono da una profondità di millenni: sono troppo vecchie o troppo giovani, al di sopra della vita e della morte. Hanno uno sguardo lungo sul passato. E un’immota fissità di ricordi. Non hanno dimenticato l’offesa di Ulisse. Sono le vestali e le vittime del loro segreto. Il rancore e il desiderio di vendetta risvegliano in esse l’animalità selvaggia. Cercano però un’uscita dalla ferinità, per entrare nel tempo degli uomini. Il «cunto» di Camilleri è una poetica favola vichiana. Maruzza e la sua bisnonna parlano in greco tra di loro. Ed è sui versi dell’Odissea che le due Sirene verificano eventi ed emozioni. Il loro canto è sensuoso. Ma sa essere pure un complotto d’acque, un irresistibile richiamo di onde e scogli. Maruzza e la bisnonna si disfanno dei fantasmi finalmente sconfitti di Ulisse e della sua genìa. E individuano nel bracciante e muratore Gnazio Manisco, che dall’America è tornato nella sua Itaca vigatese, odiando il mare e viaggiando sempre sotto coperta, un anti-Ulisse. Maruzza si sposa con Gnazio. Felicemente. Comincia la vita nuova di una Sirena con marito e figli. La famiglia della Sirena convoglia cielo e mare. Il primogenito Cola diventa astronomo. Scopre una stella. La chiama Resina, con il nome di sua sorella, la Sirenetta. Nel 1940, Cola rientra dall’America nell’Italia in guerra. La sua nave viene affondata. La Sirenetta corre dal fratello. Con lui si inabissa per sempre, là dove si apre una grotta dentro una campana d’aria. In quella grotta la letteratura aveva già portato l’avvocato Motta di un romanzo di Soldati. In quella «dimora» aveva realizzato il suo «sogno di sonno» l’ellenista Rosario La Ciura del racconto La sirena di Lampedusa. La guerra ha i suoi naufraghi. Un giovane soldato americano finisce sull’isola immaginaria di Vigàta. È steso sotto un ulivo saraceno. Prima di morire accosta all’orecchio la grande conchiglia indiana delle Sirene. Muore consolato dal canto della bisnonna e della Sirenetta. Le Sirene non uccidono più. Amano e soccorrono. Come nel racconto di Lampedusa. E come nella Sirenetta di Andersen. Il «cunto» di Camilleri è, infine, e sorprendentemente, un «cunto de li cunti». Salvatore Silvano Nigro
(Ed. Sellerio; La memoria)

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