Mi sono perso a Genova – Maurizio Maggiani

Per tutto il tempo che sono stato bambino

Incipit Mi sono perso a Genova

Per tutto il tempo che sono stato bambino, e cioè fin verso l’età del mio primo viaggio alla città di Genova, ho vissuto in una casa che aveva una cucina e intorno diverse camere da letto. La cucina era molto grande, in modo da poter dar da mangiare a una grossa famiglia. Per tutto il giorno quella cucina così vasta rimaneva deserta, abitata solo dalla sua padrona, che era anche la padrona della casa e protettrice di tutta la famiglia: la mia bisnonna Veronica. La Veronica compariva e scompariva, operava, accendeva e spegneva, versava e rivoltava emettendo i suoni lievi di uno spirito abitatore. Per il resto, silenzio. Ma la sera la cucina era piena zeppa di gente. Tutta gente che era sparita di casa di prima mattina, tutti quanti andati ad annegarsi nel loro lavoro, arrivati sfiniti al loro unico riparo. A quella cucina, alla sua tiepida luce, alle sue sedie impagliate, a quel tavolo gigantesco di legno di castagno coperto da due tovaglie, che una non bastava. Per la tavolata la Veronica aveva apparecchiato da mangiare perché tutti si potessero rimettere in forze; aveva preparato cose buone e forti, da digerire con calma nella notte. Prima di mettersi a tavola la famiglia si lavava nei catini e nelle conchette sparse intorno al camino con pani di sapone giallo, e si cambiava d’abito e di scarpe. Quelli che tornavano dai campi entravano nella cucina già scalzi, ma i loro piedi facevano rumore come se fossero suole.

Incipit tratto da:
Titolo: Mi sono perso a Genova
Autore: Maurizio Maggiani
Casa editrice: Feltrinelli

Libri di Maurizio Maggiani

Copertine di Mi sono perso a Genova di Maurizio Maggiani


Quarta di copertina / Trama

Forse non tutti sanno che Maurizio Maggiani è anche un valentissimo fotografo. In questo libro dedicato a Genova, Maggiani esplora con il suo obiettivo i luoghi che coincidono con la memoria della città e al contempo con la memoria che lo scrittore ha del suo rapporto con la città. Maggiani parla di una visione quasi onirica di Genova, parla di una città che gli è comparsa davanti progressivamente quando da bambino è arrivato da Levante con i genitori per un periodo di degenza in ospedale. Quella visione segna molta parte della sua maniera di “guardare” alla città e di raccontarla. Non ci sono molti monumenti in questo volume. O almeno non i monumenti canonici. Ci sono Sampierdarena e le sue fabbriche, ci sono i vicoli che salgono dal porto, ci sono l’area collinare e il mare-operaio. La stessa cosa accade un po’ per la parte narrata, costituita da una serie di segmenti narrativi che “cercano” la città attraverso prospettive sghembe – quella dell’infanzia, certo, ma anche quella di certi personaggi misteriosi che disseminano Genova di scritte, o trovano pertugi di conforto. Come nella prima parte della Regina disadorna c’è la Genova del porto, la Genova operaia, la Genova dei camalli. C’è, accanto alla Genova che torna in sogno, una Genova che è stata anch’essa speranza e sogno. Sogno di civiltà, e di futura umanità. “Sogno questa città da quando ero un bambino. Da quarantott’anni per l’esattezza. Posso essere così preciso perché ho cominciato a sognarla subito dopo averla vista per la prima volta. Era l’inizio della primavera del 1958.”

Cronologia opere e bibliografia di Maurizio Maggiani