Incipit Il primo quarto di luna
Fu in una mattina di sole gelido, a rasoiate sui vetri com’è tipico di certi inverni torinesi, che Saverio Piumatti, specchiandosi in bagno, vide sul proprio volto un’ombra di losca malinconia.
Incipit tratto da:
Destino, apriti. Mondo, fati capire. Così avrebbe potuto fronteggiare la solita levataccia il giovane Saverio, ventinovenne e proprietario di un taxi quasi nuovo. Perché era creatura abile con le parole, e pronta a innumerevoli fantasie.
Ripose invece ordinatamente gli arnesi da barba e tornò a letto, deciso ad alzarsi mai più.
Titolo: Il primo quarto di luna
Autore: Giovanni Arpino
Casa editrice: Einaudi
Quarta di copertina / Trama
Chi è Saverio Piumatti, giovane proprietario di un taxi quasi nuovo, creatura abile con le parole e la fantasia? Eroe o anti-eroe, vittima d’una società che conteggia i suoi disastri, testimone ringhioso di un epoca che cerca disperatamente nuovi sentieri d’uscita, di salvezza?
È intorno a questo personaggio – emblematico ma non troppo – che si muove il nuovo romanzo di Arpino. Gli fanno da cornice, come testimoni e complici più o meno consapevoli, la madre Madama Cernaia, portinaia che scruta invano i segreti dei tarocchi, lo zio Nino di garibaldina memoria, un pappagallo loquace (quando gli è consentito parlare) e una ragazza uscita da quelle “terre di nessuno” che costituiscono la culla di tanti giovani d’oggi.
È una mattina d’inverno torinese tipico che Saverio “chiude” con il suo lavoro, quasi con la stessa vita. E qui inizia una sua lenta metamorfosi, una sorta di sublimazione, fino al momento d’un addio che è corporeo, paradossale ed esemplare insieme.
Rischiando i territori così difficili della parabola, Arpino porta vanti un tema narrativo nato con “Randagio è l’eroe”, proseguito con “Domingo il favoloso”. Non è un tema da “fuga dal mondo”, secondo l’autore, ma anzi una chiave interpretativa di questo mondo, diventato impervio, stretto da realtà che nella loro macroscopia sia dilatano in quotidiani e crudeli surrealismi. E così, dal banale di ogni giorno, dal tritume di ogni nottata, scatta – talora sporco di cronaca nera, talora furente di sogni che esigono realizzazione immediata – un “momento magico” di vita, il pertugio verso l’altrove.
Impasto di partecipazione ironica, di affetti gergali e misteriosofici, di adesioni e di ripulse, questo romanzo è insieme comico e tragico, una “briciola di verità” che sa di dover correre i rischi del vertiginoso, dell’assurdo. Ma è classico assurdo proverbialmente credibile.
(Ed. Einaudi 1976)