Palude – Antonio Pennacchi

Palude – quando era Palude – ti alzava con una mano sola, se non ti stavi zitto.

Incipit Palude

Palude – quando era Palude – ti alzava con una mano sola, se non ti stavi zitto. Era un armadio di un metro e novanta. Di altezza. Moro, riccio. Occhi neri. Naso imperiale. Sorriso largo. Vita stretta.
È lui il protagonista di questa storia. Storia che, in fin dei conti, qui non ci si accinge a raccontare se non nel tentativo di raccapezzarci finalmente qualche cosa. Non c’è alcun intento epico – bell’epica sarebbe – né tanto meno documentale. Che senso avrebbe mettere per iscritto una storia che a Latina sanno tutti? Quello di tramandarla ai posteri? E di lavare in pubblico i nostri panni? È per questo che disattendo da mesi l’appuntamento. La voglia di scrivere, difatti, l’avevo già da un pezzo, ma ho sempre traccheggiato, proprio perché nessun’altra storia, come questa, meriterebbe d’essere nascosta, perlomeno ai posteri. Ma non c’era altro verso, per chi come me gli ha voluto bene, di capire come è andata: rimettere in fila tutti i tasselli, rifare tutti i passaggi.

Incipit tratto da:
Titolo: Palude
Autore: Antonio Pennacchi
Casa editrice: Dalai Editore

Libri di Antonio Pennacchi

Copertine di Palude di Antonio Pennacchi

Quarta di copertina / Trama

Le paludi pontine sono terra di città nuove, «trionfali» e desolate, che nessun turista visitava fino a ieri. Sono un alveare di contadini, gente che parla in romanesco e ricorda in veneto, spediti lì dal Duce – quello «buono», quello che mieteva il grano – a bonificare stagni e pantani. Che poi, mica la voleva, lui, Littoria. Lui si accontentava di qualche borgo rurale, perché gli italiani sono un popolo di agricoltori. Ma alla fine ci si è affezionato, e anche ora che si chiama Latina il suo fantasma ci si aggira sempre, di notte, a bordo d’un rumorosissimo Guzzi 500-Falcone Sport. Controlla che tutto vada bene e che la gente del posto non combini troppi casini. Perché «di là» vogliono caricarlo pure dei peccati loro. In fondo è a causa sua che abitano quel brandello di Lazio. Perfino il sindaco è un uomo suo. Ai tempi lo avevano nominato federale, «federale facente funzioni» a essere precisi, e adesso che una classifica del Sole 24-ore ha piazzato Latina fra le peggiori città del Paese, per migliorarne l’immagine ha partorito un’idea folgorante: i trapianti di cuore. I trapianti sono una cosa ultramoderna e si fa una grandissima figura, sostiene. E c’è infine Palude che ne ha bisogno, Palude che quando era ancora in forze ti alzava con una mano sola, se non stavi zitto. Adesso ha il cuore stanco. Peccato solo che sia un operaio rosso e comunista. Ma non importa, è deciso: il trapianto si farà. Per procurarsi un donatore basta in fin dei conti spargere una latta d’olio sopra la Pontina. Anche se a volte, insieme al cuore, al trapiantato cambia pure l’anima…
(ED. Dalai; Romanzi e Racconti)

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