Prenditi cura di me – Francesco Recami

Chi l’avrebbe mai detto di vedere la cupola del Duomo di notte, tutta illuminata, nella foschia, arancione.

Incipit Prenditi cura di me

Chi l’avrebbe mai detto di vedere la cupola del Duomo di notte, tutta illuminata, nella foschia, arancione. L’elicottero, dopo esser passato vicino ad un enorme traliccio a forma di caprone, aver sorvolato i cavi di alta tensione evidenziati da pallottole segnaletiche bianche e rosse e il Ponte all’Indiano, con le sue lucine, una accesa e tre spente, fece d’infilata tutto il parco delle Cascine, Una macchia nera di alberato, poi i Lungarni prestigiosi, palazzo Corsini e il Ponte Vecchio. La Torre di Arnolfo era lì, a portata di mano, e poco oltre il campanile di Giotto, ben illuminato. Sembrava una gita premio.

Incipit tratto da:
Titolo: Prenditi cura di me
Autore: Francesco Recami
Casa editrice: Sellerio

Libri di Francesco Recami

Copertina di Prenditi cura di me di Francesco Recami

Quarta di copertina / Trama

Stefano ha quarant’anni, vive a Firenze e la sua vita fa acqua. Non ha figli e la moglie lo ha lasciato. E dopo due attvità messe in piedi con amici e presto fallite, si ritrova a fare il trasportatore con partita Iva per una coop. Pieno di debiti. Capace soltanto di inconsistenti fantasie, brevi come uno spot pubblicitario. Per anni, suo obiettivo è stato impadronirsi del gruzzolo depositato sul conto bancario della madre: per raggiungerlo non ha risparmiato bassezze (perfino una finta gravidanza della moglie). Ma l’anziana signora non ha mai ceduto: convivono in lei le chiusure sospettose del mondo contadino e la nuova grettezza urbana. È una donna anziana e nel suo rapporto con il figlio e con il marito morto si riflette tutta l’ansia solitaria di chi è maggioranza anagrafica ed è nel contempo fuori posto nella società italiana che affida a badanti la vecchiaia. La partita crudele tra i due sembra risolversi quando la madre ha un ictus.
Una morte sospesa che però di partita ne apre un’altra: ora è Stefano che deve prendersi cura della madre, e questa responsabilità lo tramortisce. C’è da affrontare l’inferno dell’insensatezza delle strutture sanitarie, della solidarietà ambigua, di un futuro caotico e congestionato come il traffico della città, che per Stefano nel suo furgone è incubo quotidiano. A questo punto non ci sarebbero più scuse per differire la sospirata delega bancaria. Poi le condizioni della madre migliorano e la signora comincia a tornare in sé.
Recami torna alla vena di pessimismo (e di radicalismo) sociale de L’errore di Platini. Rappresenta la vita dei nuovi miserabili della nostra epoca: una classe diffusa, discorde, priva, ancor più che dei beni materiali, di ogni coscienza di sé; a cui è negata ogni possibile ricerca della felicità dalla prigione di un anonimato di esistenze molecolari ma illusoriamente convinte ad arte di essere anche uniche. Con una scrittura di un’oggettività inquietante, senza introspezioni, né compassione; e ha la forza di vincolare il lettore dentro una tragedia del quotidiano e di sollevarlo alla fine in una strana liberazione.
(Ed. Sellerio; Il contesto)

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