Incipit Signora Ava
Don Matteo Tridone si schermiva dal sole per guardare la siepe che aveva di fronte. Con gli orecchi tesi seguiva il vario cinguettare dei passeri tra i rami dei fichi e i rovi della fratta. Quelli caduti nella rete avevano uno scoppio improvviso di note rabbiose, poi un pigolio lungo e dolente. Gli altri, volando sulle piante, affondavano il becco nelle ferite dei fichi che pendevano flaccidi dai rami con la lacrima mielata nella punta; poi, sazi, accorrevano al richiamo della siepe.
Incipit tratto da:
Titolo: Signora Ava
Autore: Francesco Jovine
Casa editrice: Donzelli
Quarta di copertina / Trama
Un mondo intero in un romanzo. È l’impresa che riesce a compiere Francesco Jovine, scrittore tra i più arditi del nostro Novecento, in questo che è stato il suo libro più noto e amato, prima di cadere nel dimenticatoio che negli ultimi vent’anni ha ingoiato tutto ciò che ci ricorda l’Italia che eravamo – a meno di un paio di eccellenti eccezioni come Il Gattopardo e Cristo si è fermato a Eboli. Il mondo che Jovine ritrae, infatti, è lo stesso di quei due capolavori, e di quel mondo il romanzo intreccia storie ed emozioni nuove – quelle di Pietro e Antonietta e del loro contrastatissimo amore – a vecchie credenze e leggende risalenti ai tempi mitici della «gnora Ava», dure a morire in una comunità contadina quale è il Molise, tra il 1859 e il 1860, alla vigilia dell’Unità d’Italia e della fine del regno borbonico.
Fatto sta che in questo mondo sospeso tra un presente immobile e un passato che non passa, tra le beghe di paese, il notabile, il curato, il maestro, il proprietario e il bracciante, ecco che a un tratto fa irruzione la «Storia» con i suoi protagonisti: Garibaldi; Vittorio Emanuele II, il re «straniero» che combatte contro Francesco II di Borbone; le truppe dei vincitori che compiono razzie e seminano morti; i gruppi sbandati dei vinti. L’impatto è brusco, il pacato ritmo del paese ne esce sconvolto: molti giovani partono, il curato inneggia alla libertà, i notabili tremano per le sorti dei loro beni; Pietro, denunciato alla Guardia Nazionale, è costretto a fuggire nottetempo: suo malgrado imparerà a uccidere, rubare e saccheggiare, e finirà per scappare con la nobile Antonietta, coinvolgendola nella sua vita di brigante in fuga verso lo Stato pontificio. Immobilismo e azione, folklore e storia, tradizione e futuro: quanti romanzi riescono a mescolare così tanti registri? Non a caso la critica ha evocato, a proposito di Jovine, il realismo magico di un García Márquez: per questa capacità di trasporre un pezzo vivido di realtà in un tempo sospeso tra il fantastico e il mitico.
(Ed. Donzelli; Fiabe e Storie)