Sono contrario alle emozioni – Diego De Silva

Neanche comincio a descrivergli com’era vestita che già mi ferma.

Incipit Sono contrario alle emozioni

Neanche comincio a descrivergli com’era vestita che già mi ferma.
– Sa cosa? Mi sembra che questa storia non rappresenta affatto un problema, per lei.
«Andiamo bene, – penso, – manco ho iniziato e già ti sembra?»
– Come fa a dirlo, scusi?
È il tono che usa. Sembra orgoglioso di sé.
Lo fisso. Ci metto un po’ a riconoscere che è vero.
– Sì, in un certo senso lo sono.
– Ha visto.
Dio, come lo detesto quando ha ragione.
– Mi gratifica che lei mi ritenga all’altezza di abbordare una bellissima donna, – rilancio, sfrontato.
Mi guarda, inclinando appena il capo sulla spalla destra. Ed eccogli in faccia un bel sorriso soddisfatto.
– Molto bene, – osserva.
– Molto bene cosa?
– Considero un buon segno non vergognarsi della propria vanità.
Non so perché la sua risposta mi irrita.

Incipit tratto da:
Titolo: Sono contrario alle emozioni
Autore: Diego De Silva
Casa editrice: Einaudi

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Copertine di Sono contrario alle emozioni di Diego De Silva

Quarta di copertina / Trama

Quando Malinconico fa l’avvocato di se stesso si difende come può, ubriacandosi di domande e avvalendosi della facoltà di non rispondere. Perché mentre ascoltiamo le nostre canzoni preferite ci assalgono vampe gratuite d’autostima, il desiderio improvviso di prenderci un cane o una nostalgia divorante delle polpette della nonna? E come fa Sharon Stone a disegnare nell’aria, semplicemente muovendosi, delle curve piú belle delle sue?
La verità è che Malinconico ha un problema e non dice quale. Soprattutto non lo dice al suo psicoterapeuta, che si trova davanti un pessimo paziente: bugiardo, logorroico, reticente, provocatore sino allo sfinimento. Che fa e disfa da solo la sua terapia digressiva. Non sappiamo se le sue acute stupidaggini siano soltanto un campionario di alibi, ma il bello è che, ridendo, pagina dopo pagina siamo d’accordo con lui.
Bisogna immaginarselo, Vincenzo Malinconico che va dallo psicoterapeuta e non è capace di fare il paziente.
Bisogna immaginarselo fuori dallo studio, per strada, o a casa, mentre vive la sua vita e si fa le domande più eccentriche e peregrine, e trova le risposte più folli e più logiche. Tagliarsi la lingua leccando una busta è o meno un infortunio che la racconta più lunga di quel che sembra? Ci siamo interrogati abbastanza sulla portata avanguardistica di Raffaella Carrà? Perché guardare una palma mozzata sul lungomare può falsificare in un attimo il bilancio di un’esistenza intera?
È una gioia stargli dietro, seguire la sua testa tortuosa e cristallina mentre formula teoremi, aforismi e vanvere, variazioni sul tema dell’amore, dell’emotività e dei sentimenti; improvvisi interrogativi su parole che a un tratto perdono di senso; recensioni estemporanee di vecchie canzoni, di strani film, di eventi e persone; appunti sulla vita che assomigliano agli spilli di un entomologo instancabile.
Nei suoi tentativi di analisi fai-da-te per ricomporre il senso di una storia finita, Vincenzo nasconde se stesso e il suo problema, per dirci molto di più. Un romanzo vorticoso, fatto di pezzi brevi, comici, filosofici, sempre folgoranti, dove la scrittura si palesa al lettore in una delle sue versioni più artigianali: quella di strumento per capire come la pensiamo sulle cose.
(Ed. Einaudi; I coralli)

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