Venti racconti allegri e uno triste – Mauro Corona

Incipit Venti racconti allegri e uno triste - Mauro Corona

Incipit Venti racconti allegri e uno triste

Quella mattina si doveva ammazzare il maiale, e gli addetti erano tutti ubriachi. Avevano bevuto lungo la notte vegliando il corpo di un amico. All’alba, lasciarono il morto, maciullato da un tronco, sul tavolaccio con quattro candele accese, rigido. Poi si presentarono all’appuntamento. Erano otto. Zuan de Pil, Zuan Pez Piciol, Chino Giant, Ernesto Rostapita, Fulvio Santamaria, gemello di Carlo, Clausura e due che non serve fare il nome. Nevicava. Veniva giù come non aveva mai nevicato. Era tempo da stare in casa. Ma il maiale andava accoppato lo stesso. Il giorno del norcino chiede rispetto, è sacro, non ci sono neve, pioggia o vento che tengano. Quello detto Clausura era Jan de Bono, fratello di Firmin. Lo chiamavano così perché stava tutto l’anno chiuso in casa. Usciva solo il mese di dicembre per spinare il sangue ai maiali. Era l’accoltellatore ufficiale e si vantava. Arrivò brandendo una baionetta affila a rasoio. La agitava in aria, ciondolava, farfugliava. Lo disarmarono o si sarebbe ferito.
(Rinoceronte)

Incipit tratto da:
Titolo: Venti racconti allegri e uno triste
Autore: Mauro Corona
Casa editrice: Mondadori
Qui è possibile leggere le prime pagine di Venti racconti allegri e uno triste

Venti racconti allegri e uno triste - Mauro Corona

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Quarta di copertina / Trama

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Stanco di storie tristi, reali o immaginarie, Mauro Corona ha deciso che è arrivato il momento dell’allegria: basta disgrazie o morti ammazzati, esiste un tempo per la gioia. E quale modo migliore per rallegrarsi se non recuperando storie antiche perdute tra i boschi? “Barzellette letterarie” come quella di Rostapita, Clausura e Santamaria, riuniti per ammazzare il maiale ma troppo ubriachi per riuscirci davvero, o racconti che l’autore ha raccolto a Erto e dintorni, nei paesi e nelle osterie, come quello di don Chino, prete anziano, incapace di arrampicarsi fino alla casa più arroccata del borgo e di Polte che, per ripagarlo della mancata benedizione, quasi lo uccide lanciandogli addosso una forma di formaggio. Così, scolpiti dalle sapienti mani di Corona, momenti di vita di montagna, episodi tragicomici ed esilaranti diventano novelle, piccole grandi leggende da tramandare alle generazioni future.
Chi legge percepisce subito quanto l’autore si sia divertito nello scrivere – “come mi sono sempre divertito a fare libri, a raccontarmi storie per rimanere a galla” dice -, eppure lui stesso ammette di essersi accorto, procedendo nella stesura, di non essere stato fedele fino in fondo all’intento iniziale: a ben guardare, infatti, le storie raccolte in questo volume non sono tanto allegre. Traggono tutte origine da fallimenti, solitudini, tristezze, “ricordano gente semplice, vissuta senza luci di ribalta, passata al buio del mondo in silenzio”. Ma proprio qui è racchiuso, forse, il senso profondo di queste pagine: con la sua scrittura scabra ma ricca di sfumature, con ironia, disincanto e un realismo unito a una intima partecipazione, Mauro Corona apre la sua coraggiosa “via” per la leggerezza, e ci invita a ritrovare la capacità di sorridere anche quando non sembra essercene motivo.
“Forse perché la vera allegria è prendere l’esistenza al contrario. Ridere a crepapelle là dove si dovrebbe piangere.”
(Ed. Mondadori)

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