Vita standard di un venditore provvisorio di collant – Aldo Busi

Giuditta trascina una bambola di pezza e guarda fissa davanti a sé.

Incipit Vita standard di un venditore provvisorio di collant

Giuditta trascina una bambola di pezza e guarda fissa davanti a sé. Angelo guida a passo d’uomo, gira la testa verso di lei. La bimba non si scompone. Cammina a piedi nudi nel suo costumino blé e la strada polverosa ha le sinuosità di un ruscello essiccato. Giuditta incede come una bagnante tradita ma fiera sul carbone ardente del catrame. Angelo sorride, invano. Portarla con sé al lago, vederla nell’acqua, asciugarla, pettinarla, metterla davanti al banco dei gelati. Giuditta scompare giù per la discesa; voci che si levano a chiamarla. La bambola infilzata a una foglia di agave. Sarebbe questa la fine riservata ai “puttani”?

Incipit tratto da:
Titolo: Vita standard di un venditore provvisorio di collant
Autore: Aldo Busi
Casa editrice: A. Mondadori

Libri di Aldo Busi

Copertine di Vita standard di un venditore provvisorio di collant di Aldo Busi

Risvolto di copertina / Trama

Al febbrile preludio di seminario sulla gioventù (1984), picaresco rapporto di un enfant terrible sugli immemorabili e furiosi dolori della giovinezza in fiore, Aldo Busi fa seguire, con un magistero linguistico e narrativo di capillare consapevolezza, il romanzesco viaggio in uno dei molti inferni del potere e “della ricerca capitalistica dell’immortalità”. Lo spudorato testimone di questa perduta gente lombarda, la quale da una remota contrada mantovana spinge i suoi sulfurei tentacoli oltre ogni confine, è un ilare Angelo che il caso preleva dagli inebrianti squallori omosessuali e rivieraschi del Garda per una rabelesiana avventura mitteleuropea. Il plurilingue interprete si ritrova a coniugare la propria irascibile sensibilità “controcorrente” con la crassa amoralità di un obeso e spregiudicato fabbricante di collant, “dal nome indimenticabile cromatico: Celestino Lometto”. Despota di una moglie (Edda) della quale e timoroso fuco, padre di tre figli coi nomi tutti terminanti in ario, schiavista di lavoratrici amestruate, proprietario, oltre che di opifici fattorie e conti all’estero, anche di un cascinale stallalaboratorio-residenza “ristrutturato con torre medievale aggiunta”, Lometto è un pantagruelico arraffattutto, un magister astutiae con una mano in una acquasantiera addomesticata e l’altra, sempre, nell’altrui portafoglio. L’incrollabile agnosticismo del calzettaro, la sua sfacciata impunità e la sua totale devozione alle supreme ragioni del dio collant, finiscono per accendere in Angelo un trasecolata deferenza per tanto volgare stile di vita. L’ottusa positività di Celestino suscita via via nell’hidalgo come uno stupefatto legame di amicizia; e un alone cervantino amalgama la inusitata coppia girovaga. Li accomuna una reciproca ambizione redentrice; l’ammirazione – di polo opposto – per i tre figli, così “patiti per gli animali” da trasformarsi in feroci strangolatori e imbalsamatori di colombe e gattini; e in più li attanaglia l’inesorabile ambizione di Edda la quale si fa ingravidare per la quarta volta col solo intento di partorire un Ario negli Stati Uniti e lanciare così una casata nell’orbita di un destino planetario. Difeso da una “causticità terroristica” Angelo naviga indenne su questi abissi “di opulenza sociale e di miseria genetica” rifugiandosi offeso nella sua solitudine, finché l’atroce conclusione del parto a New York non lo stimola ad una vendetta sul cui epico ritmo si chiude, e si riapre, il ciclico romanzo.
La caleidoscopica invettiva di Busi costruisce gli emblematici dannati con una scrittura eccezionale e premeditata naturalezza, con una ricchezza espressiva che trascorre dal grottesco al lirico altalenando scrosci di timbri di satirici e adagi di malinconica ironia: ne sgorga un crepitio di credibili personaggi d’ogni nazionalità e d’ogni latitudine sessuale, in un visibilio di realtà e surrealtà. Ma questo libro irregolare, felice e irriverente evento nella nostra narrativa, il quale pare aggiungere l’attesa pala al trittico da La vita agra di Luciano Bianciardi e da Il calzolaio di Vigevano di Lucio Mastronardi (due grandi dimenticati fuoripista), non è solo una tragicomica parabola sul potere e una irresistibile denuncia dell’amoralità e della degradazione. È anche un lacerante itinerario alla ricerca del sentimento della paternità, un grido di orrore sull’innocenza calpestata e, infine, uno dei più disperati cantici sulla nostra irrimediabile solitudine.
(Ed. Mondadori; Scrittori italiani e stranieri)

Cronologia opere e bibliografia di Aldo Busi