Il gioco degli specchi – Andrea Camilleri

Incipit Il gioco degli specchi

Era da minimo du’ ure che sinni stava assittato, completamenti nudo come Dio l’aviva fatto, supra a’na speci di seggia che assimigliava perigliosamente a ’na seggia lettrica, ai polsi e alle cavigli gli avivano attaccato dei braccialetti di ferro dai quali si partivano ’na gran quantità di fili che annavano a finiri dintra a un armuàr di mitallo tutto dicorato all’esterno di quatranti, manometri, amperometri, barometri e di lucette virdi, russe, gialle e cilestri che s’addrumavano e s’astutavano ’n continuazioni. ’N testa aviva un casco priciso ’ntifico a quello che i parruccheri mettino alle signore per la permanenti, ma questo era collegato all’armuàr con un grosso cavo nìvuro dintra al quali c’erano arrutuliati cintinara di fili colorati.

Incipit tratto da:
Titolo: Il gioco degli specchi
Autore: Andrea Camilleri
Casa editrice: Selerio

Libri di Andrea Camilleri

Copertina di Il gioco degli specchi di Andrea Camilleri

Quarta di copertina / Trama

“Il commissario Montalbano si tiene costantemente d’occhio. È frastornato dai trasognamenti. Qualcuno gioca ingegnosamente con lui. Misura i passi del commissario. Li indirizza. Li spinge là dove è inutile che vadano: lungo piste che, se sono giuste, si rendono irriconoscibili, si cancellano, o si labirintizzano. Montalbano ha una sua cultura cinematografica. E gli viene in mente il vecchio film ‘La signora di Shanghai’ di Orson Welles: il torbido noir, con tutti i suoi scombussolamenti, e tutti i suoi illusionismi barocchi. Montalbano entra nel film. E vede se stesso disorientato, dentro la scena finale, nella sala degli specchi di un padiglione del Luna Park. Il prodigio degli specchi altera lo spazio visibile. Si spara. Ma non si capisce se i bersagli sono reali o esito di un gioco di specchi. Un villino, un giro di macchine, una storia d’amore un po’ scespiriana, due esplosioni apparentemente insensate, un proiettile senza tracciabile direzione, una coppia di cadaveri, bruciato uno, bestialmente violentato l’altro, entrano nella trama del romanzo. La narrazione si concede focali corte, inquadrature insolite, avanzamenti lentissimi alternati a piani-sequenza vertiginosi. Scorre come un film. Turba e sconvolge, ma non si nega qualche respiro ludico, utile anch’esso alla soluzione del giallo. Persino Catarella ha il suo momento di gloria, alla fine.” Salvatore Silvano Nigro
(Ed. Sellerio 2011)

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XY – Sandro Veronesi

Incipit XY – Sandro Veronesi

Incipit XY di Sandro Veronesi

Borgo San Giuda non era nemmeno più un paese, era un villaggio. Settantaquattro case, di cui più della metà abbandonate, un bar, uno spaccio di alimentari e la chiesa con la sua canonica — spropositate, in confronto al resto. Fine. Niente giornalaio, niente barbiere, niente pronto soccorso, niente scuola elementare: per tutto questo, e per gli altri frutti della civiltà, bisognava andare a Serpentina, oltre il bosco, oppure a Doloroso, a Massanera, a Gobba Barzagli, a Fondo, a Dogana Nuova, o addirittura giù a Cles. Però c’era un fabbro, per dire, Wilfred, che faceva i chiodi a mano e sembrava Mangiafuoco, e un cimitero con oltre trecento tombe. Vivere lì non aveva senso, ma ci vivevamo in quarantatre — anzi, in quarantadue, da quando era morto il vecchio Reze’. Era un posto che non esisteva quasi, e nessuno riuscirà mai a capire perché quello che è successo sia successo proprio lì, dove non succedeva niente.

Incipit tratto da:
Titolo:XY
Autore: Sandro Veronesi
Casa editrice: Fandango

Libri di Sandro Veronesi

XY – Sandro Veronesi

Quarta di copertina / Trama

L’ho detto ai carabinieri, l’ho detto al Procuratore, l’ho detto a tutti quelli che mi hanno chiesto “cosa avete visto?”: l’albero, abbiamo visto, l’albero ghiacciato. E stata la prima cosa che abbiamo visto, appena arrivati al bosco – e anche dopo, quando abbiamo visto il resto, è rimasto l’unica cosa intera che abbiamo visto. L’albero. Era lì, al suo posto, all’imboccatura del bosco, cristallizzato come sempre nel suo cappotto di ghiaccio, la cui trasparenza era offuscata dalla neve fresca – ma era rosso. Era rosso, sì, come se Beppe Formento, nell’atto di ghiacciarlo, avesse messo dello sciroppo di amarena nel cannone. In quel bianco fatale era l’unica cosa che mantenesse una forma, e sembrava – non esagero – acceso, pulsante di quell’intima luce aurorale che ancora oggi mi ritrovo a sognare. Sogno quella trasparenza rossa, sì, ancora oggi, e la sogno senza più l’albero, ormai, senza nemmeno più la forma dell’albero: sogno quel colore e nient’altro. Un tramonto imprigionato in un cielo di gelatina, un sipario di quarzo rosso che cala sul mio sonno, un’immensa caramella Charms che si mangia il mondo, ho continuato a sognare quella trasparenza rossa e continuo a farlo, perché è ciò che abbiamo visto, quando siamo arrivati al bosco. Cosa avete visto? Abbiamo visto l’albero ghiacciato intriso di sangue.
(Ed.Fandango 2010)

Incipit XY – Sandro Veronesi

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XY - Audiolibro - Sandro Veronesi

La leggenda del morto contento – Andrea Vitali

Incipit La leggenda del morto contento – Andrea Vitali

Incipit La leggenda del morto contento

La mattina del 25 luglio 1843 si annunciò sotto un cielo sgombro dalla più piccola nuvola, con una luce smorta che ammazzava i colori e un’aria densa del pesante odore dell’acqua di lago quando è ferma, misto di muschi e pesci morti. Da un paio di giorni, in verità, non si levava la pur minima aria, né al mattino, quando i tivanelli esaurivano la loro breve vita prima del sorgere del sole, né alla sera, quando i montivi scendevano dalle vali, ridavano vita alle verzure. Sopra la paese si era creata una cappa di aria spessa, come si il Padreterno vi avesse rivoltato per dispetto una tazza e l’ossigeno si stesse pian piano esaurendo. In breve i panificatori avevano cominciato a lamentarsi e a maledire il tempo: a detta loro tutta quell’umidità rovinava gli impasti e avevano un bel tirare e schiacciare prima di ottenere quel pane di cui andavano famosi e che, per bontà, competeva addirittura col notissimo pane di Como. Molti altri bellanesi li avevano seguiti nel levare gli occhi al cielo sbuffando di scontentezza e sacramentando, poiché l’umido dell’aria non infarciva solo i muscoli dei panettieri, ma anche i loro, rendendo più pesante ogni movimento; tranne quello per alzare al banco dell’osteria i cocci da mezzo litro pieni di vino e altro, quello per mollare scapaccioni ai bambini i quali, assediati al pari degli adulti dalla faticosa atmosfera, diventando rognosi e petulanti.

Incipit tratto da:
Titolo: La leggenda del morto contento
Autore: Andrea Vitali
Casa editrice: Garzanti
Qui è possibile leggere le prime pagine di La leggenda del morto contento

La leggenda del morto contento - Andrea Vitali

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Risvolto di copertina / Trama

È il 25 luglio 1843, una mattina d’estate senza una nube e con una luce che ammazza tutti i colori. Due giovani in cerca d’avventura salpano su una barchetta con tre vele latine. Dal molo di Bellano, li segue lo sguardo preoccupato del sarto Lepido: non è giornata, sta per alzarsi il vento. L’imbarcazione è presto al largo, in un attimo lo scafo si rovescia.
Un’imprudenza. Una disgrazia.
Ma la tragedia crea un problema. A riva viene riportato il corpo dell’irrequieto Francesco, figlio di Giangenesio Gorgia, ricco e potente mercante del paese. Il disperso è Emilio Spanzen, figlio di un ingegnere che sta progettando la ferrovia che congiungerà Milano alla Valtellina. Due famiglie importanti. Bisogna a tutti i costi trovare un colpevole. Per la prima volta, Andrea Vitali risale il corso del tempo verso l’Ottocento, per raccontare un altro squarcio della sua Bellano. Ritroviamo così l’eco della dominazione austriaca, con i notabili e i poveracci, gli scapestrati e le bisbetiche, le autorità e gli ubriaconi…
Tra lacrime e sorrisi, “La leggenda del morto contento” racconta una storia di padri e di figli, di colpevoli e di innocenti, di giustizia e di malagiustizia: ottocentesca, ma solo in apparenza.
(Ed. Garzanti)