La chiave a stella – Primo Levi

Incipit La chiave a stella - Primo Levi

Incipit La chiave a stella

«Eh no: tutto non le posso dire. O che le dico il paese, o che le racconto il fatto: io però, se fossi in lei, sceglierei il fatto, perché è un bel fatto. Lei poi, se proprio lo vuole raccontare, ci lavora sopra, lo rettifica, lo smeriglia, toglie le bavature, gli dà un po’ di bombé e tira fuori una storia; e di storie, ben che sono più giovane di lei, me ne sono capitate diverse. Il paese magari lo indovina, così non ci rimette niente; ma se glielo dico io, il paese, finisce che vado nelle grane, perché quelli sono brava gente ma un po’ permalosa».
Conoscevo Faussone da due o tre sere soltanto. Ci eravamo trovati per caso a mensa, alla mensa per gli stranieri di una fabbrica molto lontana a cui ero stato condotto dal mio mestiere di chimico delle vernici. Eravamo noi due i soli italiani; lui era lì da tre mesi, ma in quelle terre era già stato altre volte, e se la cavava benino con la lingua, in aggiunta alle quattro o cinque che già parlava, scorrettamente ma correntemente. E sui trentacinque anni, alto, secco, quasi calvo, abbronzato, sempre ben rasato. Ha una faccia seria, poco mobile e poco espressiva. Non è un gran raccontatore: è anzi piuttosto monotono, e tende alla diminuzione e all’ellissi come se temesse di apparire esagerato, ma spesso si lascia trascinare, ed allora esagera senza rendersene conto. Ha un vocabolario ridotto, e si esprime spesso attraverso luoghi comuni che forse gli sembrano arguti e nuovi; se chi ascolta non sorride, lui li ripete, come se avesse da fare con un tonto.

Incipit tratto da:
Titolo: La chiave a stella
Autore: Primo Levi
Casa editrice: Einaudi
Qui è possibile leggere le prime pagine di La chiave a stella

La chiave a stella - Primo Levi

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Quarta di copertina / Trama

Un gran numero d’italiani in questi anni passa periodi più o meno lunghi in paesi lontani ed esotici per lavori tecnici condotti da nostre imprese. Un tipo d’esperienza nuovo che entra nella nostra narrativa.
«La chiave a stella» racconta le avventure d’un montatore di gru, strutture metalliche, ponti sospesi, impianti petroliferi: un tecnico di grande perizia, tanto da essere chiamato a realizzare progetti difficilissimi in tutti i continenti, un operaio superspecializzato che passa la sua vita tra contratti e trasferte internazionali come un grande direttore d’orchestra e il cui lavoro si svolge tra fiumi indiani in piena, ghiacci dell’Alaska, foreste africane, tundre russe. Personaggio che solo Primo Levi poteva rappresentare fino in fondo nei suoi due aspetti principali: quello dell’appassionata competenza professionale per cui ogni avventura è anche la storia d’una «performance» tecnica, una battaglia (vinta o persa) con i materiali e con le condizioni d’ambiente; e quello della vita picaresca del giramondo, del piglio divertito e ironico nell’affrontare ogni avventura cosmopolita già pregustando il piacere di raccontarla ai compaesani, di trasformarla in dialetto e in gergo.
Perché è sempre la sua voce che sentiamo in queste pagine; la voce del montatore Faussone, un piemontese il cui dialetto è fiorito da un repertorio inesauribile d’invenzioni gergali, di metafore professionali, che Primo Levi registra e trascrive italianizzandole quei tanto che basta. Una doppia passione per il lavoro esatto e il linguaggio colorito anima il libro: per cui la tecnologia più ardita e la disinvoltura a muoversi nel mondo ci arrivano attraverso la voce scanzonata e riduttiva di questo personaggio dalle radici locali ben tenaci, che non si tira mai indietro di fronte al nuovo e all’insolito ma filtra ogni esperienza al lume del suo buon senso popolare e tradizionale (dietro di lui c’è una Torino vecchiotta e cerimoniosa di cui Levi ci dà uno scorcio con la visita alle zie; ma anche una dinastia d’operai-artigiani scesi dalla campagna in città seguendo le ondate della nostra rivoluzione industriale). Eppure questo Faussone chiacchierone e ingegnoso è pure un uomo che persegue un ideale con un rigore ossessivo, uno stilista d’una morale netta e metallica, un abitante dell’aria, su per i tralicci che va facendo crescere e controllando con la sua «chiave a stella»; sempre pronto a godere i piaceri del mondo di quaggiù ma solo dopo essersi assicurato che i cavi reggano la tensione dei carichi.
Primo Levi che con «Il sistema periodico» ci aveva già dato un libro esemplare, oltre che raro nella nostra letteratura, sulla formazione morale d’un uomo della nostra epoca, ora propone in questo nuovo libro un’immagine (felicemente «inattuale» rispetto agli umori dei tempi) di quella quasi ignota civiltà della competenza che pure esiste in Italia, ed in cui rivive l’antica nobiltà dell’artigiano che fa le cose con le proprie mani. E l’«allegro» del suo raccontare è quello che conosciamo fin dalle peregrinazioni della «Tregua», picaresche anche quelle, se pur su uno scenario tragicamente devastato.
Nel libro entra di persona anche lui, il chimico Primo Levi, a dialogare col concittadino Faussone incontrato in contrade remote, e a confrontare quelle del montatore di gru con le esperienze sue, delle sue due professioni: di «montatore di molecole» e di «montatore di racconti».
(Ed. Einaudi; Supercoralli)

Romanzo vincitore del Premio Strega nel 1979