La mala erba – Antonio Manzini

Incipit La mala erba - Antonio Manzini

Incipit La mala erba

Sporco, affamato e braccato correva, rovi e spine lo graffiavano sangue e gli frustavano il volto accecandolo. Lame di luna sminuzzate dalle foglie spruzzava il bosco di macchie d’argento. Cadde per tre volte con la faccia nel fango, e per tre volte si rialzò per continuare a correre, col vestito lacero e ricoperto di terra, il viso nero e incrostato di fango e sangue. Sentiva solo il suo respiro e i rami secchi schiacciati dalle scarpe. in bocca un sapore di terra e ferro e nel cranio un martello che ad ogni colpo diventava una voce che sembrava dirgli: «Dove vai? Dove vai?». Aveva solo un posto dove nascondersi, doveva salire verso la cima della montagna, sempre più in alto, più lontano possibile. Stremato abbracciò un tronco di quercia e chiuse gli occhi premendosi le tempie per far smettere quell’urlo, quel dolore.
Che cosa ho fatto! si disse.
Degli ultimi giorni aveva solo un’immagine sfocata. Da quando lei se n’era andata e tutti l’avevano scoperto, sulla memoria era calato un inchiostro nero. Sapeva solo che adesso era lì, in mezzo al bosco, di notte, in seguito come un lupo da gente una volta amica e che ora voleva la sua pelle.
Fra l’intrico dei rami, giù nella valle vide le case del paese. S’erano accese quasi tutte le finestre mentre nella piazza gli uomini radunati puntavano le torce verso la foresta. I cani tenuti al guinzaglio abbaiavano eccitati e i loro latrati si mischiavano alle grida dei paesani che si organizzavano per andarlo a prendere. Un colpo di tosse gli squassò la gola. Sputò per terra. Alzò la testa al cielo e digrignando i denti bestemmiò quel Dio che lo aveva accompagnato per tanti anni e che ora sembrava sparito. Si passò una mano lercia sul viso e scoppiò a piangere. Poi si staccò dall’albero e riprese a correre. Un ramo spezzato gli strappò un pezzo di giacca ferendogli il costato, ma non sentì dolore. Saltò un tronco marcio, superò un cespuglio di felci e il buio lo inghiottì.

Incipit tratto da:
Titolo: La mala erba
Autore: Antonio Manzini
Casa editrice: Sellerio
In copertina: Dame in Weiß (Fräulein Sokal) di Sergius Pauser, 1927
Qui è possibile leggere le prime pagine di La mala erba

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Quarta di copertina / Trama

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Nella cameretta di Samantha spicca appeso al muro il poster di una donna lupo, «capelli lunghi, occhi gialli, un corpo da mozzare il fiato, gli artigli al posto delle unghie», una donna che non si arrende davanti a nulla e sa difendersi e tirare fuori i denti. Samantha invece, a 17 anni, ha raccolto nella vita solo tristezze e non ha un futuro davanti a sé. Non è solo la povertà della famiglia; è che la gente come lei non ha più un posto che possa chiamare suo nell’ordine dell’universo. Lo stesso vale per tutti gli abitanti di Colle San Martino: vite a perdere, individui che, pur gomito a gomito, trascinano le loro esistenze in solitudine totale, ognuno con i suoi sordidi segreti, senza mai un momento di vita collettiva, senza niente che sia una cosa comune. Sul paese dominano, rispettivamente dall’alto del palazzo padronale e dal campanile della chiesa, Cicci Bellè, «proprietario di tutto», e un prete reazionario, padre Graziano. I due si odiano e si combattono; opprimono e sfruttano, impongono ricatti e condizionamenti. Cicci Bellè prova un solo affetto, per il figlio Mariuccio, un ragazzone di 32 anni con il cervello di un bambino di 5; padre Graziano porta sempre con sé il nipote Faustino, bambino viziato, accudito da una russa silenziosa, Ljuba. Samantha non ha conforto nel ragazzo con cui è fidanzata, nemmeno nei conformisti compagni di scuola; riesce a comunicare solo con l’amica Nadia. Tra squallide vicende che si intrecciano dentro le mura delle case, le sfide dei due prepotenti e i capricci di un destino tragico prima abbattono la protagonista, dopo le permettono di vendicarsi della sua vita con un colpo spregiudicato, proprio come una vera donna lupo; un incidente, un grave lutto, un atto di follia, sono le ironie della vita di cui la piccola Samantha riesce ad approfittare.
La penna di Antonio Manzini, che ha descritto un personaggio scolpito nella memoria dei lettori come Rocco Schiavone, raffigura individui e storie di vivido e impietoso realismo in un noir senza delitto, un romanzo di una ragazza sola e insieme il racconto corale di un piccolo paese. Una specie di lieto fine trasforma tutto in una fiaba acida. Ma dietro quest’apparenza, il ghigno finale della donna lupo fa capire che La mala erba è anche altro: è un romanzo sul cupio dissolvi di due uomini prepotenti, sulla vendetta che non ripristina giustizia, sul ciclo inesorabile e ripetitivo dell’oppressione di una provincia emarginata che non è altro che l’immensa, isolata provincia in cui tutti viviamo.
(Ed. Sellerio; La Memoria)

Le ossa parlano – Antonio Manzini

Incipit Le ossa parlano – Antonio Manzini

Incipit Le ossa parlano

Il tribunale penale era sporco e chiassoso, voci rimbombavano per i corridoi, sulle pareti giallognole restavano tracce di nastro adesivo che una volta sostenevano avvisi; avvocati seduti con pile di cartelle sulle gambe parlavano al cellulare, altri, capelli spettinati e sguardo allucinato, correvano come mosche da una stanza all’altra; i bagni alle dieci del mattino si erano già tramutati in cessi, la carta grigia e dura per asciugarsi le mani si disfaceva a contatto con l’acqua, qualche water era già otturato e l’urina sul pavimento di linoleum emanava un puzzo rancido e acido. Il caldo a Roma era arrivato con largo anticipo.
Rocco Schiavone aveva terminato il suo dovere di testimone nel processo del popolo italiano contro il primo dirigente di polizia Mastrodomenico, accusato di traffico di stupefacenti, organizzazione di banda armata, omicidio, spaccio. Vedere quel dirigente che l’aveva spedito ad Aosta, fiero del suo potere e delle sue influenze, sul banco degli imputati lo aveva lasciato indifferente. Mastrodomenico e Sebastiano, il suo amico di sempre, erano a capo di una banda armata, sulla quale Rocco aveva indagato nel 2007 e gli era costato la vita di Marina, e con lei la sua gioia e il suo futuro. Rischiava parecchi anni, il dirigente di polizia, e Rocco gli augurò di prenderne il più possibile. Gli dispiaceva solo che Sebastiano Cecchetti non stesse subendo lo stesso processo. Chissà dov’era, in quale paese senza estradizione aveva deciso di finire i suoi giorni. Sebastiano Cecchetti che per anni era stato in silenzio, tenendo nascosto il suo ruolo e uccidendo in Rocco quel sentimento di fiducia che lui riponeva negli amici.

Incipit tratto da:
Titolo: Le ossa parlano
Autore: Antonio Manzini
In copertina: illustrazione di Rahul Salim
Casa editrice: Sellerio
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Le ossa parlano - Antonio Manzini

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Quarta di copertina / Trama

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Un medico in pensione scopre nel bosco delle ossa umane. È il cadavere di un bambino. Michela Gambino della scientifica di Aosta, nel privato tanto fantasiosamente paranoica da far sentire Rocco Schiavone spesso e volentieri in un reparto psichiatrico, ma straordinariamente competente, riesce a determinare i principali dettagli: circa dieci anni, morte per strangolamento, probabile violenza. L’esame dei reperti, un’indagine complessa e piena di ostacoli, permette infine di arrivare a un nome e a una data: Mirko, scomparso sei anni prima. La madre, una donna sola, non si era mai rassegnata. L’ultima volta era stato visto seduto su un muretto, vicino alla scuola dopo le lezioni, in attesa apparentemente di qualcuno.
Un cold case per il vicequestore Schiavone, che lo prende non come la solita rottura di decimo livello, ma con dolente compassione, e con il disgusto di dover avere a che fare con i codici segreti di un mondo disumano. Un’indagine che lo costringe alla logica, a un procedere sistematico, a decifrare messaggi e indizi provenienti da ambienti sotterranei. E a collaborare strettamente con i colleghi e i sottoposti, dei quali conosce sempre più da vicino le vite private: gli amori spericolati di Antonio, il naufragio di Italo, le recenti sistemazioni sentimentali di Casella e di Deruta, persino l’inattesa sensibilità di D’Intino, le fissazioni in fondo comiche dei due del laboratorio. Lo circondano gli echi del passato di cui il fantasma di Marina, la moglie uccisa, è il palpitante commento. Si accorge sempre più di essere inadeguato ad altri amori. È come se la solitudine stesse diventando l’esigente compagna di cui non si può fare a meno.
Questa è l’indagine forse più crudele di Rocco Schiavone. La solitudine del bambino vittima è totale, perenne, metafisica, e aleggia sulle affaccendate vicende di tutti quanti i personaggi facendoli sentire del tutto futili a Rocco, confermandolo nel suo radicato pessimismo.
Ne Le ossa parlano, Antonio Manzini procede di un altro capitolo nel grande romanzo del suo personaggio. Un romanzo unico composto da più gialli intricati che esplorano le complessità della natura umana.
(Ed. Sellerio; La Memoria)

Vecchie conoscenze – Antonio Manzini

Incipit Vecchie conoscenze – Antonio Manzini

Incipit Vecchie conoscenze

Secondo giorno di neve. Fioccava e gonfiava d’ovatta soffice tetti, pali della luce e attutiva i rumori della città con quella capacità che ha la neve di silenziare il paesaggio. Le auto procedevano lente lasciando un binario grigio sull’asfalto bianco. Per terra orme di zampe feline segnalavano cammini randagi e i passeri si nascondevano al riparo delle grondaie. Rocco guardava i batuffoli leggeri e continui attraversare il fumo della sigaretta. Le nuvole coprivano i monti e il cielo, la città era stretta in un assedio nebbioso. Da un mese come febbraio non c’era altro da aspettarsi.
L’una e dieci. Qualche bullone allentato sbatteva dentro la pompa di calore, un ritmo sincopato e ipnotico che alla lunga stancava. Lupa dormiva accucciata sul divanetto di pelle. La questura era silenziosa, nessuno in mattinata aveva bussato alla sua porta, il telefono era rimasto muto, la giornata si trascinava verso il suo naturale epilogo con una stanchezza ottuagenaria. Gettò la cicca dalla finestra e andò alla scrivania. Da Natale non aveva avuto più notizie di Sebastiano, l’amico fraterno, scomparso ormai da mesi dagli arresti domiciliari. Brizio e Furio avevano provato a cercarlo per qualche settimana, poi a metà gennaio avevano mollato il colpo. «Se deve torna’, torna!» aveva sentenziato Brizio, e in fondo Rocco pensava avesse ragione. Chissà, si chiedeva Schiavone, magari era all’estero, magari aveva rinunciato a cercare Enzo Baiocchi e a portare a termine la sua vendetta, magari… non ci credeva neanche lui. Prendere l’infame era diventata l’unica ragione di vita di Sebastiano. Rocco ancora conservava il biglietto che gli aveva lasciato sul letto d’ospedale, quella notte poco prima di Capodanno, e la foto che si era scattato appropriandosi per gioco del cellulare del vicequestore. Ogni tanto la osservava e sorrideva. Nonostante Rocco fosse un uomo abituato alla perdita, le armi che usava per reagire, per non sprofondare nel pozzo dei ricordi, erano spuntate. Ci ricascava sempre, bastava un profumo, una frase, uno sguardo o una somiglianza per ritrovarsi in un luogo fuori dal tempo, in uno spazio vago e sbiadito dove giacevano frammenti della sua vita.

Incipit tratto da:
Titolo: Vecchie conoscenze
Autore: Antonio Manzini
In copertina: Pubblicità per suole in gomma Pirelli, Industrias Pirelli S.A.I.C. Buenos Aires, anni Cinquanta (particolare). Courtesy Fondazione Pirelli.
Casa editrice: Sellerio
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Schiavone non ci crede. Tutti gli elementi indicano un solo colpevole: movente, tempi, luogo, tracce materiali e informatiche, psicologia. Ma lui non ci crede a pelle. «L’archeologa, Sara, ha detto che nei miei occhi non vede niente. Di solito è la stessa impressione che ho quando guardo un omicida». E invece negli occhi del sospettato numero uno qualcosa ha visto: «Paura».
È morta nel suo appartamento Sofia Martinet, colpita alla testa con un oggetto pesante. Unici indizi una «J» ripetuta nella sua agenda, e una striscia pallida attorno a un dito, segno di un anello sempre portato e rimosso a freddo dal cadavere. Sui settant’anni, una casa piena di libri, di cui parecchi antichità di valore, un nome celebre a livello internazionale nel suo campo accademico, storica dell’arte specialista in Leonardo da Vinci. L’inchiesta portata avanti da Rocco Schiavone, con il suo stile inconfondibile di lavoro e di vita, ha due snodi. Il primo riguarda la condotta del figlio della vittima; il secondo è una scoperta che questa aveva fatto scavando nelle opere scientifiche del genio del Rinascimento. «Una svolta nel mondo degli studi leonardeschi».
Improvvisamente, una scossa tellurica complica anche emotivamente le giornate inquiete di Rocco: rispunta Sebastiano, l’amico di infanzia, e di imprese al limite della legalità, che era scomparso da un bel po’ di tempo, inabissato nella sua caccia segreta appresso al carnefice della giovane moglie. Vecchie conoscenze.
E non è l’unico, sconvolgente ritorno proveniente dal passato, per trasformare in spettri le vecchie care conoscenze.
Un Rocco Schiavone forse più solo, ma a momenti autocritico, che si sorprende quasi quasi a pentirsi della propria scorza di durezza: forse perché aleggia dappertutto un’invitante allusione alla forza emancipatrice dell’amore. Amore di qualunque tipo.
(ED: SEllerio; La memoria)