Il Mago di Riga – Giorgio Fontana

Incipit Il Mago di Riga – Giorgio Fontana

Incipit Il Mago di Riga

1.e4 c5 2.Cf3 Cc6 3.Ab5 d6. Miša mulinò per un istante il polso sopra la scacchiera, simulando indecisione; quindi arroccò, premette l’orologio, si strofinò due volte il collo – era madido di sudore, le palpebre scattavano, la febbre gli dava il capogiro – e fissò intensamente Akopian, chiedendosi se il suo sguardo conservasse ancora l’antico magnetismo. Sarebbe tornato utile, date le condizioni del momento.
Giorni prima, pranzando al ristorante Amaya, qualcuno aveva ricordato la celebre storiella con Pál Benkő ai Candidati del ’59. Miša non aveva molta voglia di sentirla, e ancor meno desiderava narrarla; si era limitato ad ascoltare con un sorriso di circostanza, smuovendo la paella quasi intonsa nel piatto, mentre i colleghi più giovani lo sbirciavano. Dunque: da tempo si mormora che Michail Tal’ ipnotizzi gli avversari al tavolo da gioco; addirittura, secondo alcuni, facendo apparire donne nude nella loro mente per deconcentrarli. (Donne nude, Dio mio: sarebbe stato davvero un bel potere!). Così al terzo turno Benkő si presenta al tavolo con un paio di lenti nere per non subire i suoi occhi da stregone, anche se più tardi ammetterà che si trattava di uno scherzo. Ma Miša è stato avvisato da qualcuno, così estrae a sua volta degli occhialoni scuri da spiaggia, piuttosto ridicoli – li ha chiesti in prestito al suo amico Petrosjan – e li inforca come se niente fosse. Dal pubblico si solleva una risata, e anche l’avversario sorride: il solito Tal’. Al turno successivo, l’ultimo, Benkő indossa ancora le lenti scure – non si sa mai, deve aver pensato – ma commette lo stesso una svista: Miša ha pronta una combinazione schiacciante, potrebbe avviarsi alla vittoria e invece, come promesso all’allenatore Koblents, forza una patta per scacco perpetuo. («Giusto?», aveva chiesto il narratore; lui aveva annuito e completato mentalmente il ricordo con la voce esasperata di Koblents: Se non la porti a casa sana e salva il prima possibile, giuro che ti tiro pomodori marci dalla platea). Del resto una patta basta per condurlo di fronte a Botvinnik; e da lì, come tutti sanno, al titolo mondiale.

Incipit tratto da:
Titolo: Il Mago di Riga
Autore: Giorgio Fontana
Casa editrice: Sellerio
Qui è possibile leggere le prime pagine di Il Mago di Riga

Il Mago di Riga - Giorgio Fontana

Quarta di copertina / Trama

«Questo miraggio delle partite o delle vite senza sbagli: no, Miša si teneva volentieri il fallimento. Si teneva la vulnerabilità e lo scompiglio. Tanto valeva ubriacarsi o combinare pasticci, ma rispettare sempre la dignità del singolo essere umano. Meglio giocare, giocare per la pura festa di giocare, fino a che giorno e notte non perdano di senso: giocare con la devozione e la letizia dei ragazzini che strillano e non vogliono tornare a casa a fare i compiti o lavarsi – le stupide incombenze del mondo reale». Michail «Miša» Tal’ (1936-1992), che prima di Kasparov fu il più giovane Campione del mondo della storia, sconvolse l’universo degli scacchi incarnando il gioco come arte, invenzione, complicazione. Lo chiamavano il Mago di Riga per la capacità di «evocare tutte le forze oscure che ogni posizione celava dentro di sé»: bramava il disordine e il sacrificio dei pezzi (atti che per lui racchiudevano anche un significato esistenziale), opposti ai prevalenti distillati di razionalità e pragmatismo. Il 5 maggio del 1992 disputò la sua ultima partita di torneo (sarebbe morto il mese dopo) contro un giovane Grande maestro – lui che a soli ventitré anni aveva battuto Botvinnik, il «Patriarca» della scuola sovietica, che «affermava di non giocare mai per puro piacere».
Tra una mossa e l’altra, Miša ricapitola a lampi di memoria la sua movimentata e anarchica esistenza. Cinquantacinque anni segnati dal genio precoce e da costanti malattie, ma vibranti di un gioio-so, fraterno e dissipato desiderio di vivere. Le tenerezze dell’infanzia, gli anni d’oro, il declino e le rinascite; le partite che erano sempre per lui «la paziente tessitura di un altrove»; l’umorismo straripante e l’empatia verso chiunque (una sfida al bar con un avventore, una ragazza che piange dopo la partita); e naturalmente i tornei, i molti amori, le sbornie, le beffe al KGB, la costante sete di libertà. Tutto rinasce, come in punto di morte.
E mentre cresce la suspense del duello in corso, nella mente del Mago di Riga fioriscono i «momenti fatali» che risvegliano in lui l’essenza, poetica e caotica, della vita.
In questo romanzo Giorgio Fontana racconta l’epica di un uomo straordinario che raggiunge la vetta profondendo in ogni mossa l’amore per il rischio, lontano da qualunque cinismo, e dimostrando a un mondo incredulo che talora le storie sono più forti del-la realtà – che due più due, come Miša amava dire, può fare cinque.
(Ed. Sellerio; La Memoria)

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Prima di noi – Giorgio Fontana

Incipit Prima di noi – Giorgio Fontana

Incipit Prima di noi

Issatosi per un momento sul carro, il fante Maurizio Sartori guardò la massa di uomini che avanzava lungo la strada. Un ferito al suo fianco sputò e si calò l’elmetto sul viso, mentre un cane abbaiava al blindato, correndo con la lingua penzoloni. I cannoni abbandonati giacevano nella luce grigia. Tre commilitoni tornarono in colonna ubriachi persi, agitando sacchi di farina e salami rubati dai casolari, e tocchi di formaggio sulla punta delle baionette: «Dio, che festa!», gridavano. Più in là, fin dove arrivava la vista, la piana era interminabile e confusa nella pioggia, e il fumo dei magazzini incendiati si avvitava in piccole volte.
A ogni chilometro cercavano di aggiungersi gruppi di civili, ricacciati ai margini della strada o lungo i campi fradici. Le donne avevano sacchi di iuta in spalla e pacchi sottobraccio, mentre bambini magri e sporchi tiravano palle di terra eccitati dalla fuga. La gente si univa a loro sgomitando, bestemmiando, accanto a buoi e pecore e galline.

Incipit tratto da:
Titolo: Prima di noi
Autore: Giorgio Fontana
Illustrazione di copertina: Christine Cousineau (Absence #7)
Casa editrice: Sellerio
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Prima di noi - Giorgio Fontana

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Quarta di copertina / Trama

Una famiglia del Nord Italia, tra l’inizio di un secolo e l’avvento di un altro, una metamorfosi continua tra esodo e deriva, dalle montagne alla pianura, dal borgo alla periferia, dai campi alle fabbriche. Il tempo che scorre, il passato che tesse il destino, la nebbia che sale dal futuro; in mezzo un presente che sembra durare per sempre e che è l’unico orizzonte visibile, teatro delle possibilità e gabbia dei desideri.
È questo il paesaggio in cui vivono e muoiono i personaggi di Giorgio Fontana, i Sartori, da quando il primo di loro fugge dall’esercito dopo la ritirata di Caporetto e incontra una ragazza in un casale di campagna. Poi un figlio perduto in Nordafrica, due uomini sopravvissuti e le loro nuove famiglie, per arrivare ai giorni nostri: quelli di una giovane donna che visita la tomba del bisnonno, quasi a chiudere un cerchio. Quattro generazioni, dal 1917 al 2012, che si spostano dal Friuli rurale alla Milano contemporanea affrontando due guerre mondiali e la ricostruzione, la ricerca del successo personale o il sogno della rivoluzione, la cattedra in una scuola e la scrivania di una multinazionale. È circa un secolo, che mai diventa breve: per i Sartori contiene tutto, la colpa, la vergogna, la rabbia, la frenesia, il viaggio. Sempre lo scontro e quasi mai la calma, o la sensazione definitiva della felicità. Ma i Sartori non ne hanno bisogno, e forse nella felicità neppure credono. Perché se in ogni posto del mondo bisogna battersi e lottare allora è meglio imparare ad accettare le proprie inquietudini, e stare lì dove la vita ci manda.
Romanzo storico e corale, vasto ritratto narrativo del Novecento italiano, il racconto dei Sartori affronta il fardello di un passato che sembra aver lasciato in eredità solo fatica e complessità, persino nei più limpidi gesti d’amore. Se gli errori e le sfortune dei padri ricadono sui figli, come liberarsene? Esiste una forza originaria capace di condannare un’intera famiglia all’irrequietezza? Come redimere se stessi e la propria stirpe? La risposta a queste domande è nella voce di un tempo nuovo, nello sguardo di chi si accinge a viverlo, nelle parole di uno scrittore di neppure quarant’anni che ha voluto affrontare con le armi della letteratura la povertà e il riscatto, la fede e la politica, il coraggio dei deboli e la violenza dei forti.
(Ed. Sellerio; La Memoria)

Prima di noi – Audiolibro - Fontana

Un solo paradiso – Giorgio Fontana

Incipit Un solo paradiso – Giorgio Fontana

Incipit Un solo paradiso

Da qualche giorno, un mimo aveva preso a frequentare le strade di Milano. Compariva all’improvviso, spostandosi senza criterio da una zona all’altra: potevi trovarlo in corso Vittorio Emanuele come a Calvairate, al Giambellino o davanti a un locale in Brera. Ma non si fingeva statua all’angolo delle vie, inchinandosi per due monete. No, lui sceglieva un passante, gli si metteva di fronte e lo copiava in ogni singolo gesto: e per quanto volessi evitarlo, non potevi: per quanto cambiassi direzione o lo scostassi in malo modo, eri in suo potere finché lo desiderava. Scovava ogni bacio, tic o smorfia, e lo replicava. Poi era già scomparso.
Un giornalista del «Corriere» aveva provato a intervistarlo, ma invano. Da buon mimo, non parlava nemmeno a lavoro finito: e più ancora, la sensazione era che il suo lavoro non finisse mai. Chi era? Un artista? Un pazzo? Nessuno aveva informazioni.

Incipit tratto da:
Titolo: Un solo paradiso
Autore: Giorgio Fontana
Casa editrice: Sellerio
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Un solo paradiso - Giorgio Fontana

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Quarta di copertina / Trama

Una storia d’amore: ma anche il resoconto di quanto tale sentimento possa condurre alla distruzione di sé. Il racconto di una passione assoluta, forse troppo grande per tempi così precari, di cinismo e paura: ma che restituisce ad essa tutta la sua dignità, il suo pudore, e insieme il suo peso tragico.
Due vecchi amici si incontrano per caso nel bar che era stato un tempo il covo della loro tribù urbana. Si erano persi di vista e uno dei due, il protagonista, comincia a raccontare all’altro: che prima resta interlocutorio, poi stizzito, e infine folgorato dall’impeto inattuale della storia.
Alessio, sul finire dei vent’anni, un lavoro normale, originario di una famiglia delle montagne lombarde con un padre autoritario e un fratello sbandato, trombettista in una piccola jazz band, coltiva una mediocrità esistenziale: un «dolceamaro contentarsi», lo chiama. Martina invece è magra e dal corpo agile e nervoso; viene da una famiglia di professionisti meridionali, non dice molto di se stessa, e i suoi gusti sono spesso poco originali. Due ragazzi qualunque: ma da questo «qualunque» si genera di colpo una strana forza tempestosa, una divina mania. Un fuoco breve che esplode per le strade di Milano – evocata limpidamente, quartiere dopo quartiere – e si consuma al suono di una musica febbrile.
I piccoli sadismi per misurare quanto l’altro ci appartenga. Le fitte di sofferenza per la felicità provata dall’altra prima o senza di lui. Le fughe dalla troppa intensità. I silenzi pieni di domande e di risposte mute. L’insana speranza di una sofferenza maggiore in chi si allontana. Fino a quando, così com’era venuto l’amore se ne va all’improvviso.
Sconvolto dalla perdita e incapace di decifrare l’ossessione che essa genera, Alessio reagisce annichilendosi. Gli amici lo respingono senza comprenderlo, come se parlasse una lingua da tempo dimenticata. Così si perde fra interminabili camminate nella periferia milanese – ora accesa da una bellezza lacerante, ora invece cupa e fredda – e sprofonda lentamente nell’alcolismo e nella solitudine. Fino a trasformare la perdita in destino, fino a scomparire per sempre. E quello che resta all’amico, da ultimo testimone, è la vita che continua, piccola e insipida. Con la nostalgia di non avere mai provato né tanta felicità, né un dolore così grande: senza il privilegio di avere perso un paradiso.
(Ed. Sellerio; La Memoria)

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