La festa del caprone – Mario Vargas Llosa

Urania.

Incipit La festa del caprone

Urania. I genitori non le avevano fatto un favore; il suo nome dava l’idea di un pianeta, di un minerale, di tutto tranne che della donna snella e dai tratti sottili, dalla carnagione bruna e dai grandi occhi scuri, un po’ tristi, che lo specchio le rimandava. Urania! Ma che bella invenzione. Per fortuna più nessuno la chiamava così, ma Uri, Miss Cabral, Mrs Cabral o Doctor Cabral. A quel che ricordava, da quando era venuta via da Santo Domingo (“O meglio, da Ciudad Trujillo”, quando era partita non avevano ancora restituito il suo nome alla capitale), né a Adrian, né a Boston, né a Washington D. C., né a New York, nessuno l’aveva più chiamata Urania, come prima a casa sua e al Colegio Santo Domingo, dove le sisters e le sue compagne pronunciavano in modo ultracorretto l’insensato nome che le avevano inflitto alla nascita. Poteva essergli venuto in mente a lui, a lei? Troppo tardi per accertarsene, ragazza; tua madre ormai era in cielo e tuo padre un morto vivente. Non lo saprai mai. Urania! Assurdo quanto fare quell’affronto all’antico Santo Domingo de Guzmán chiamandola Ciudad Trujillo. Anche quella era stata forse un’idea di suo padre?

Incipit tratto da:
Titolo: La festa del caprone
Autore: Mario Vargas Llosa
Traduzione: Glauco Felici
Titolo originale: La Fiesta del Chivo
Casa editrice: Einaudi

Libri di Mario Vargas Llosa

Copertine di La festa del caprone di Mario Vargas Llosa

Incipit La fiesta del chivo

Urania. No le habían hecho un favor sus padres; sunombre daba la idea de un planeta, de un mineral, de todo, salvo de la mujer espigada y de rasgos finos, tez bruñida y grandes ojos oscuros, algo tristes, que le devolvía el espejo. ¡Urania! Vaya ocurrencia. Felizmente ya nadie la llamaba así, sino Uri, Miss Cabral, Mrs. Cabral o Doctor Cabral. Que ella recordara, desde que salió de Santo Domingo («Mejor dicho, de Ciudad Trujillo», cuando partió aún no habían devuelto su nombre a la ciudad capital), ni en Adrian, ni en Boston, ni en Washington D.C., ni en New York, nadie había vuelto a llamarla Urania, como antes en su casa y en el Colegio Santo Domingo, donde las sisters y sus compañeras pronunciaban correctísimamente el disparatado nombre que le infligieron al nacer. ¿Se le ocurriría a él, a ella? Tarde para averiguarlo, muchacha; tu madre estaba en el cielo y tu padre muerto en vida. Nunca lo sabrás. ¡Urania! Tan absurdo como afrentar a la antigua Santo Domingo de Guzmán llamándola Ciudad Trujillo. ¿Sería también su padre el de la idea?.

Incipit tratto da:
Título : La fiesta del chivo
Autor : Mario Vargas Llosa
Editor : Alfaguara
Lengua : Español

Quarta di copertina / Trama

È stato nel 1975, durante un soggiorno a Santo Domingo, che Mario Vargas Llosa pensò per la prima volta di scrivere sulla storia recente di quel Paese, in particolare sulla figura di Rafael Leónidas Trujillo, il despota che per trent’anni (1930-61) tenne ferreamente in pugno le sorti di uomini e donne dominicani, fino a quando non fu assassinato. All’epoca del suo dominio, la capitale non si chiamava Santo Domingo ma Ciudad Trujillo, e di fatto tutto ciò che vi era nella Repubblica Dominicana apparteneva al Dittatore e alla sua famiglia: le industrie, le terre coltivate, le forze armate e le stesse persone. Il meccanismo narrativo scelto dall’autore è all’apparenza semplice: Urania Cabral, figlia dell’ex presidente del Senato di Trujillo caduto in disgrazia, torna in patria dopo trentacinque anni – sebbene si fosse ripromessa di non farlo mai – e dalla sua stanza dell’Hotel Jaragua parte per un viaggio nella memoria. Di continuo, però, cede la scena alle altre voci protagoniste (come fosse un’opera corale) e a un irrefrenabile bisogno dell’autore di percorrere il tempo avanti e indietro con incalzanti flash-back, quasi se ne volesse suggerire la circolarità, l’intercambiabilità e comunque si volessero ricavare dal suo passaggio indicazioni per leggere la storia e scegliere un conseguente comportamento nel presente. Una prova compiuta e lucidissima di Vargas Llosa, delle sue capacità narrative unite ai suoi ideali poetici e politici.
(Ed. Einaudi; Supercoralli)

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La zia Julia e lo scribacchino – Mario Vargas Llosa

Incipit La zia Julia e lo scribacchino

In quel tempo remoto, io ero molto giovane e vivevo con i miei nonni in una villa dai muri bianchi di calle Ocharan, a Miraflores. Studiavo all’università di San Marcos, legge, mi sembra, rassegnato a guadagnarmi più tardi la vita da libero professionista, anche se, in fondo, mi sarebbe piaciuto di più riuscir a diventare uno scrittore. Avevo un lavoro con titolo pomposo, stipendio modesto, appropriazioni illecite e orario elastico: direttore delle Informazioni di Radio Panamericana.
Consisteva nel ritagliare le notizie interessanti che comparivano sui quotidiani e truccarle un po’ per poterle leggere nei bollettini. La redazione ai miei ordini era costituita da un ragazzo dai capelli imbrillantinati e amante delle catastrofi chiamato Pascual. C’erano bollettini a ogni ora, di un minuto, salvo quelli di mezzogiorno e delle nove, che erano di quindici, ma noi me preparavamo diversi insieme, sicché io andavo molto in giro per strada, a bere caffè nella Colmena, qualche volta a lezione, e negli studi di Radio Central, più animati di quelli dove lavoravo io.

Incipit tratto da:
Titolo: La zia Julia e lo scribacchino
Autore: Mario Vargas Llosa
Traduzione: Angelo Morino
Titolo originale: La tía Julia y el escribidor
Casa editrice: Einaudi

Libri di Mario Vargas Llosa

La zia Julia e lo scribacchino - Mario Vargas Llosa

Incipit La tía Julia y el escribidor

En ese tiempo remoto, yo era muy joven y vivía con mis abuelos en una quinta de paredes blancas de la calle Ocharán, en Miraflores. Estudiaba en San Marcos, Derecho, creo, resignado a ganarme más tarde la vida con una profesión liberal, aunque, en el fondo, me hubiera gustado más llegar a ser un escritor. Tenía un trabajo de título pomposo, sueldo modesto, apropiaciones ilícitas y horario elástico: director de Informaciones de Radio Panamericana. Consistía en recortar las noticias interesantes que aparecían en los diarios y maquillarlas un poco para que se leyeran en los boletines.
La redacción a mis órdenes era un muchacho de pelos engomados y amante de las catástrofes llamado Pascual. Había boletines cada hora, de un minuto, salvo los de mediodía y de las nueve, que eran de quince, pero nosotros preparábamos varios a la vez, de modo que yo andaba mucho en la calle, tomando cafecitos en la Colmena, alguna vez en clases, o en las oficinas de Radio Central, más animadas que las de mi trabajo.

Incipit tratto da:
Título : La tía Julia y el escribidor
Autor : Mario Vargas Llosa
Editor : Punto de Lectura
Lengua : Español

Quarta di copertina / Trama

Pedro Camacho, detto il «Balzac creolo», è uno strano e fecondissimo inventore di trame melodrammatiche e truculente per un programma feuilleton di Radio Lima. Tutti in città attendono con impazienza le «puntate» della sua fantasia, fatte di arresti misteriosi, morti segrete, incesti, sangue e passioni. In parallelo scorre la storia di Mario – pallidamente autobiografica, come il nome del protagonista lascia intendere – giovane aspirante scrittore attratto da questa curiosa macchina dell’immaginario. Ma anche lui ha la sua storia complicata da raccontarci: s’innamora, quasi con platonica indifferenza, d’una zia vedova e piú matura, che finirà per sposare, prima di trasferirsi in Europa e affermarsi come scrittore.
Due biografie simmetriche che si mescolano e si intersecano mettendo a confronto il truculento mondo di Camacho con gli ideali del giovane scrittore, in un variopinto e irresistibile caleidoscopio. Un’invenzione continua di storie fantasiose e reali che rivela la straordinaria capacità affabulatoria di Vargas Llosa.
(Einaudi; Tascabili Letteratura)

Incipit La zia Julia e lo scribacchino – Mario Vargas Llosa

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Lettere a un aspirante romanziere – Mario Vargas Llosa

Caro amico

Incipit Lettere a un aspirante romanziere

Caro amico,
la sua lettera ha suscitato in me una vera emozione perché, attraverso quella lettera, ho rivisto me stesso a quattordici o quindici anni, nella grigia Lima della dittatura del generale Odría, esaltato dall’illusione di potere, un giorno o l’altro, diventare scrittore, e depresso dal non sapere in quale direzione muovermi, da come cominciare a cristallizzare in opere quella vocazione che sentivo come un mandato perentorio: scrivere storie che abbagliassero i lettori come io ero stato abbagliato da quelle degli scrittori che cominciavo a collocare nel mio pantheon privato: Faulkner, Hemingway, Malraux, Dos Passos, Camus, Sartre.
( Parabola della tenia )

Incipit tratto da:
Titolo: Lettere a un aspirante romanziere
Autore: Mario Vargas Llosa
Traduzione: Glauco Felici
Titolo originale: Cartas a un joven novelista
Casa editrice: Einaudi

Libri di Mario Vargas Llosa

Copertine di Lettere a un aspirante romanziere di Mario Vargas Llosa

Incipit Cartas a un joven novelista

Querido amigo:
Su carta me ha emocionado, porque, a través de ella, me he visto yo mismo a mis catorce o quince años, en la grisácea Lima de la dictadura del general Odría, exaltado con la ilusión de llegar a ser algún día un escritor, y deprimido por no saber qué pasos dar, por dónde comenzar a cristalizar en obras esa vocación que sentía como un mandato perentorio: escribir historias que deslumbraran a sus lectores como me habían deslumbrado a mí las de esos escritores que empezaba a instalar en mi panteón privado: Faulkner, Hemingway, Malraux, Dos Passos, Camus, Sartre.

Incipit tratto da:
Título : Cartas a un joven novelista
Autor : Mario Vargas Llosa
Editor : Penguin Random House
Lengua : Español

Quarta di copertina / Trama

Dopo i Consigli a un giovane scrittore di Vincenzo Cerami e Il mestiere di scrivere di Raymond Carver, già apparsi in “Stle libero”, questo libro aggiunge una diversa prospettiva alla riflessione che gli scrittori hanno compiuto sul proprio mestiere.Vargas Llosa immagina che un giovane, alle prese con una precoce vocazione letteraria, gli ponga alcune semplici e grandi questioni: esiste una predisposizione alla scrittura? In che rapporto sono verità e menzogna nella finzione letteraria? Che cos’è l’autenticità per un narratore? Come trova i suoi argomenti un romanziere? Per rispondere lo scrittore peruviano, oltre ad attingere alla propria esperienza, si diverte a tirar giù dagli scaffali i volumi di un’ ideale biblioteca e a dialogare con i grandi maestri: Flaubert, prima di tutto, e poi Cervantes, Hemingway, Faulkner, Cortazar e tanti altri. Citazioni, aneddoti, riflessioni, pagine autobiografiche, frammenti di critica letteraria, compongono il ritratto di quegli uomini abitati dalle storie che hanno trasformato la loro ossessione in grande letteratura. E Vargas Llosa ci invia, attraverso queste lettere scritte con un tono colloquiale e sornionamente dimesso, il suo atto d’amore nei confronti della letteratura, da sempre uno dei pochi veri antidoti a ogni forma di asservimento.
(Ed. Einaudi; Stile Libero)

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