Il sentiero selvatico – Matteo Righetto

Incipit Il sentiero selvatico - Matteo Righetto

Incipit Il sentiero selvatico

Nessuno a Larcionèi serbava memoria di tanta pioggia negli ultimi cento anni, men che meno Tina, che di anni ne aveva soltanto dieci.
I più vecchi del paese tacevano, si limitavano a scrutare il cielo di soppiatto e a farsi il segno della croce. Le poche volte in cui aprivano bocca era solo per dire che in vita loro non avevano mai visto cadere tutta quell’acqua.
Qualcuno mormorava mezze frasi sulla fine del mondo, qualcun altro si limitava ad affermare che il maltempo fosse annuncio di disgrazie imminenti, c’era poi chi si diceva convinto che fosse in ogni caso una punizione divina. Tutti però erano d’accordo su un fatto, e cioè che quel bür temp avesse avuto inizio subito dopo l’apparizione del Lum de le Auróne.
Era accaduto alla fine di settembre, quando per tre notti consecutive alcuni paesani avevano visto una luce bluastra comparire in cielo e muoversi sopra le Aurone, tra il monte Migogn e il Padón, dall’altra parte della vallata. Anche Tina l’aveva vista, e ne era rimasta incantata, come se fosse l’aurora boreale di cui tempo prima aveva parlato in classe la maestra Ulrike.

Incipit tratto da:
Titolo: Il sentiero selvatico
Autore: Matteo Righetto
Casa editrice: Feltrinelli
Qui è possibile leggere le prime pagine di Il sentiero selvatico

Il sentiero selvatico - Matteo Righetto

Quarta di copertina / Trama

Piove da più di un mese a Larcionèi. Nel paesino ai piedi delle Dolomiti gli anziani giurano di non aver mai visto cadere dal cielo tanta acqua. E sotto l’acqua gli abitanti del villaggio si riuniscono il 2 novembre del 1913 per la messa del Giorno dei Morti. Ci sono tutte le famiglie della zona, anche i Thaler, con la loro unica figlia di dieci anni, Katharina. Nel mezzo della liturgia, la bimba sparisce nel nulla: il paese intero la cerca tra i boschi per tutta la notte, invano.
La piccola Tina riappare da sola il giorno dopo, proprio quando finalmente cessa la pioggia. Sta bene, ma non ricorda nulla di quel che le è accaduto, e tra i paesani cominciano a correre strane e malevole voci. Presto per tutti Tina diventa la strìa, la strega che è stata rapita dai morti, che ha conosciuto il diavolo. Per lei l’unico rifugio, il luogo dove trova pace e sicurezza, è il monte Pore con i suoi boschi, i torrenti e gli animali selvatici.
La sua è una vita di misteri e scelte coraggiose, che la porteranno – da adulta – a diventare una leggenda, la guardiana della natura dolomitica, uno spirito antico che, proprio come gli animali selvatici, si lascia vedere solo se è lei a deciderlo. L’ultima lupa delle Dolomiti.
Torna il personaggio più amato de La stanza delle mele, Tina Thaler. Matteo Righetto, con il suo stile poetico, ci porta a Larcionèi, in quel drammatico momento in cui le foreste venivano drasticamente abbattute, la Grande guerra falcidiava i soldati e l’identità ladina veniva lacerata. In un intreccio di magia e arcaiche tradizioni locali, Il sentiero selvatico celebra la potente connessione tra piante, animali, donne e uomini.
(Feltrinelli)

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La stanza delle mele – Matteo Righetto

Incipit La stanza delle mele – Matteo Righetto

Incipit La stanza delle mele

Quando il nonno ordinava qualcosa con quel tono, era meglio sbrigarsi.
Più era aspro il timbro della voce e più urgente si presentava il suo comando: un’imposizione che alle orecchie del nipote giungeva come una folgore che si schianta su un larice.
E quando il vecchio Angelo Nef intimò a Giacomo di tornare nel bosco per recuperare la roncola che aveva dimenticato lì al mattino, di lampi se ne incominciavano a intravedere parecchi. Avanzavano da nord, oltre il massiccio del Sella, accompagnati da un muro di nubi oscure.
Era un tardo pomeriggio d’agosto e la luce mostrava ancora con chiarezza le creste del Padon e della Marmolada al di là della vallata, mentre di qua tingeva di giallo il versante sud del Col di Lana, alle cui pendici era aggrappata Daghè, la minuscola frazione di Livinallongo. Tre case, tre fienili, tre famiglie. Fra queste, i Nef, contadini da generazioni.
Quando il nonno gridò, la nonna stava facendo ribollire in un grande pentolone l’orzo per la minestra della cena e anche per quelle dei giorni seguenti; mentre i due fratelli maggiori di Giacomo erano nel tabià a fianco della vecchia casa tirolese, impegnati a battere la segale raccolta nelle settimane precedenti. Ta-tam, ta-tam, ta-ta-tam… Il rumore sordo e ripetuto del correggiato sul vecchio pavimento di abete si confondeva con il lontano boato dei tuoni.
All’ordine del vecchio, Giacomo si rizzò in piedi, guardò il nonno inginocchiato per terra intento ad accendere la stufa in maiolica e, senza attendere altro, afferrò le scarpe, vecchie e consumate dalle salite e dalle discese che lassù dettavano legge in ogni istante della vita.
Le calzò velocemente, strinse i lacci con rabbia e uscì subito di casa.

Incipit tratto da:
Titolo: La stanza delle mele
Autore: Matteo Righetto
In copertina: © Getty Images
Casa editrice: Feltrinelli
Qui è possibile leggere le prime pagine di La stanza delle mele

La stanza delle mele - Matteo Righetto

Quarta di copertina / Trama

È l’estate del 1954, Giacomo Nef ha undici anni e con i due fratelli maggiori vive dai nonni paterni a Daghè, sulle pendici del Col di Lana, nelle Dolomiti bellunesi. “Tre case, tre fienili, tre famiglie.”
I bambini sono orfani e l’anziano capofamiglia li tratta con durezza e severità, soprattutto il più piccolo. Il nonno è convinto infatti che Giacomo sia nato da una relazione della nuora in tempo di guerra e lo punisce a ogni occasione, chiudendolo a chiave nella stanza delle mele selvatiche. Lì il ragazzino passa il tempo intagliando il legno e sognando l’avventura, le imprese degli scalatori celebri o degli eroi dei fumetti, e l’avventura gli corre incontro una tarda sera d’agosto.
Con l’approssimarsi di un terribile temporale, Giacomo viene mandato dal nonno nel Bosch Negher a recuperare una roncola dimenticata al mattino. Mentre i tuoni sembrano voler squarciare il cielo, alla luce di un lampo scopre vicino all’attrezzo il corpo di un uomo appeso a un albero. L’impiccato è di spalle e lui, terrorizzato, fugge via.
Per tutta la vita Giacomo cercherà di sciogliere un mistero che sembra legato a doppio filo con la vita del paese, con i suoi riti ancestrali intrisi di elementi magici e credenze popolari.
Matteo Righetto conosce profondamente il mondo arcaico della montagna – durissimo e al contempo vivo di profumi, sapori, dialetto e leggende – e ce lo restituisce nel suo romanzo più maturo e incalzante. Leggerlo è una corsa notturna nel bosco, con il cuore in gola.
I segreti tornano sempre a galla attraverso le leggende.
(Ed. Feltrinelli)

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I prati dopo di noi – Matteo Righetto

Incipit I prati dopo di noi – Matteo Righetto

Incipit I prati dopo di noi

Il giorno in cui Bruno fu costretto a partire si trovava nel bosco.
Era mattina presto. I raggi già scaldavano l’aria e facevano esalare dal terreno e dai muschi il vapore residuale dell’umidità notturna, quando Uto raggiunse il fratello minore in prossimità di un bivio in una faggeta sofferente e assetata.
Bruno era sdraiato per terra, prono, incantato a osservare un formicaio brulicante.
Uto gli si avvicinò lentamente, per non spaventarlo.
Si schiarì la voce e con una certa insistenza disse:
“Adesso dobbiamo andare”.

Incipit tratto da:
Titolo: I prati dopo di noi
Autore: Matteo Righetto
In copertina: illustrazione di Francesco Camporeale
Casa editrice: Feltrinelli
In copertina: Illustrazione di Francesco Camporeale
Qui è possibile leggere le prime pagine di I prati dopo di noi

I prati dopo di noi - Matteo Righetto

Quarta di copertina / Trama

Mentre le pianure arroventate sono in fiamme, la montagna rappresenta l’ultimo, precario, rifugio. E in un monastero alle pendici dei monti vive Bruno, un ragazzo gigantesco, “magro e alto come un ontano verde”, che si sente particolarmente legato agli animali minuti, insetti soprattutto: “Mio papà diceva,” racconta a chi gliene chiede il motivo, “che i più grandi devono prendersi cura dei più piccoli”. La sua mansuetudine, lo sguardo fantasioso e candido fanno sì che a molti sembri uno sciocco, eppure sono proprio quelle doti a renderlo capace di comprendere cose che ai più non è dato vedere né sentire. Nell’abbazia gli viene così affidata la cura degli apiari, fondamentali per il pregiato miele, la propoli, l’idromele, gli unguenti e la cera delle candele. Ma le api sono preziose anche perché è grazie a loro che la natura può rigenerarsi, e Bruno ne diventa fedele custode.
Sulle Alpi vive anche il vecchio Johannes. Convinto che il pianeta stia per soccombere a causa dell’avanzata dei nuovi barbari, parte per l’Ortles, la montagna sacra che la leggenda vuole abbia un tempo ospitato in perfetta armonia uomini, animali e piante. Nel cammino verso il sacro monte, Johannes e Bruno sono destinati a incontrarsi fra loro e con Leni, una vivace bambina sordomuta rimasta sola al mondo.
Una storia simbolica sul destino dell’umanità, nutrita dell’amore per l’ambiente, popolata da personaggi vivissimi e raccontata da Matteo Righetto con il suo talento eccezionale nella rappresentazione della natura e dell’avventura.
(Ed. Feltrinelli)

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