L’ultimo sorso – Mauro Corona

Incipit L'ultimo sorso – Mauro Corona

Incipit L’ultimo sorso. Vita di Celio

Celio nacque sotto i cieli di Palazza e Carmelìa, partorito tra l’erba come le capre. I pascoli di Palazza e Carmelìa fioriscono a milleottocento metri, nell’alta Val Zemola. Li falciavano uomini e donne, rimanendo lassù quarantacinque giorni. La mamma di Celio faceva parte del branco, professione rastrellatrice. Ammassava fieno in fondo ai prati lunghi due chilometri. Il bordo dello sfalcio guardava il dirupo. Più di uno era volato giù, rimanendoci. Qualcuno era stato spinto.
Quando la mamma lo sputò nell’erba, come il bolo di un rapace, era intorno al mezzodì. Dopo aver visto i cieli di Carmelìa e Palazza, il bimbo si scottò nel braciere di luglio. In quel momento la donna capì di averla combinata grossa. Poteva rimanere a casa, gli ultimi giorni segnalavano. Ma ormai era fatta, bisognava rimediare. Sollevò il bimbo verso l’alto e decise di chiamarlo Celio, nato sotto i cieli di Palazza e Carmelìa, su un ciuffo di fieno come Cristo. Un’aquila, con una sola macchia sotto le ali, picchiò a beccare quel che rimaneva di cordone ombelicale e placenta. Alcune comari lavarono la puerpera e i falciatori l’aiutarono a stendersi sulla slitta, con un braccio di fieno a materasso.
Il giorno della nascita, Celio prese le prime botte. Un destino segnato per sempre lassù, ai piedi del monte Palazza, dirimpetto a Ludinia. La slitta, condotta da Pilo dal Crist lungo i pendii col suo carico instabile, si rovesciò. L’uomo aveva fretta, temeva per la donna. Mamma e pargolo ruzzolarono lungo il prato rasato dalle falci. Non più erba, bensì steli corti e aguzzi. Niente di grave, graffi e spellature ma, per un bimbo di poche ore, pericolose. Così, Celio ricevette il battesimo del fieno.

Incipit tratto da:
Titolo: L’ultimo sorso. Vita di Celio
Autore: Mauro Corona
Casa editrice: Mondadori
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L’ultimo sorso - Mauro Corona

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Rocciatore, taglialegna, scalpellino, minatore, apicoltore: chi è Celio? “Un niente” risponde lui, un semplice signor nessuno di un paesino sulle Alpi che è terra di nascita dell’autore. È lui a far rivivere Celio, a strapparlo all’oblio per renderlo personaggio vero, sfuggente, pulsante di idiosincrasie e contraddizioni. Insofferente alle persone fino alla misantropia, il protagonista si rifugia in se stesso, nell’ermeticità del dialetto ladino e nell’abbraccio ambiguo dell’alcol, che lo stringerà per tutta la vita, fino al delirio e alla morte. In Celio, conosciuto durante la problematica infanzia e quarant’anni più vecchio di lui, l’autore troverà un inaspettato mentore, una protezione dalle violenze perpetrate dal padre, una via d’accesso privilegiata ai misteri e alla saggezza della natura, rivelatasi solamente per lui. Nel racconto, Mauro Corona si riscopre bambino, mettendo nero su bianco le parole – sempre misurate, mai lasciate al caso – dell’anziano amico e compagno di bevute, alla ricerca delle radici di un male di vivere sempre scacciato e mai sopito, nel duro e apparentemente impenetrabile cuore da montanaro. Una scrittura aspra, nervosa e autentica al pari del protagonista di questo romanzo, dietro le cui vicissitudini si legge in controluce l’autobiografia dell’autore, vero alter ego di Celio e solo testimone di un’esistenza che si fa simbolo di una terra sospesa nel tempo, in cui la solitudine, portata su di sé come una croce, sembra l’unico rimedio al contagio della miseria e del dolore. Le uniche leggi e autorità riconosciute sono quelle della natura, al contempo madre e matrigna. Come il vecchio accendino a benzina, ereditato dal maestro, l’allievo tiene viva la fiamma del ricordo e fa luce sul potere dell’amicizia, rara e inafferrabile ma capace di farsi salvifica nell’ostilità e nell’indifferenza del mondo.
(Ed. Mondadori)

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Il passo del vento – Mauro Corona e Matteo Righetto

Incipit Il passo del vento – Mauro Corona e Matteo Righetto

Incipit Il passo del vento

ABETE
Molti anni fa, quando ancora le nevicate invernali erano abbondanti, la signora Karin cominciava a occuparsi dell’albero di Natale già a ottobre.
Lo cercava meticolosamente nei boschi della val d’Ega, per giorni e giorni, perché doveva essere perfetto: alto quanto il capofamiglia, giovane come la figlia più piccola e con una chioma ampia all’incirca la metà dell’antica stufa in maiolica che imperava in soggiorno.
Soprattutto, doveva trattarsi di un abete bianco: solo così poteva essere un Tannenbaum, un vero albero di Natale.
Quando finalmente la donna individuava quello giusto, gli legava un nastro rosso intorno al fusto e ne riferiva la precisa posizione a Wilfred, suo marito, il quale aveva il compito di prelevarlo a novembre, durante una notte di luna piena: solo se raccolto in tale circostanza avrebbe trattenuto tutti i suoi aghi per settimane, addirittura per mesi.

Incipit tratto da:
Titolo: Il passo del vento. Sillabario alpino
Autori: Mauro Corona e Matteo Righetto
Casa editrice: Mondadori
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Parlare di montagna equivale a parlare dell’intera esistenza, e di come in essa si intende prendere posto. E amare la montagna significa stare al mondo con franchezza, desiderio di avventura, accortezza e spirito di solidarietà, rispetto per la vita in tutte le sue manifestazioni.
Mauro Corona e Matteo Righetto, gli scrittori italiani più autorevoli sull’argomento, danno voce a ciò che per loro la montagna rappresenta, attingendo a un ricchissimo tesoro di esperienze personali, qui condensate in brevi racconti, epigrammi fulminanti, descrizioni di paesaggi naturali di bellezza inesprimibile.
In queste pagine troviamo l’asprezza della roccia e la sfida delle vette, ma anche la carezza accogliente dei boschi, il ritmo lento del passeggiare; i ricordi vivissimi di un tempo che non esiste più e la consapevolezza urgente delle responsabilità da assumersi perché gli ambienti naturali possano sopravvivere ed essere il futuro dei nostri figli.
I sedici milioni di abeti distrutti dal ciclone che si è abbattuto sulle Dolomiti alla fine del 2018 evocano i caduti della Prima guerra mondiale, perché “gli alberi sono come le persone, e le foreste sono intere comunità”. La descrizione di un camoscio, che con abilità di equilibrista si muove tra i picchi più impervi, sfocia in una riflessione sul cambiamento del ruolo del padre nella società contemporanea, una figura ormai così priva di spigoli da rendere difficile assumerla come riferimento e appoggio. E invece, dal momento che gli esseri umani sono alpinisti inconsapevoli e chi “guarda il cielo sente la vertigine della bellezza ma anche il vuoto del precipizio”, l’appiglio è cruciale, nell’arrampicata come nella vita.
La narrativa potente di due grandi scrittori in un libro che si legge con la facilità e la soddisfazione con cui si raccolgono i mirtilli, grazie alla struttura classica e accattivante del sillabario.
(Ed. Mondadori; Omnibus)

Nel muro – Mauro Corona

Incipit Nel muro – Mauro Corona

Incipit Nel muro

Passavo davanti alla baita fin da bambino, quando andavo a caccia con mio padre.
Io non avrei voluto alzarmi nel cuore delle notti e marciare mezzo addormentato lungo i fianchi delle montagne. Ma mio padre voleva così.
Quel posto all’inizio non mi piaceva. Poi, un po’ per volta, mi catturò costringendomi a stare lì. E non sapevo perché. La baita portava addosso un cappotto misterioso e inquietante, fatto di boschi e silenzi. Qualcosa che impauriva e allo stesso tempo attirava. A me succedeva questo, non so a mio padre. So che si fermava anche lui.

Incipit tratto da:
Titolo: Nel muro
Autore: Mauro Corona
Casa editrice: Mondadori
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Nel muro - Mauro Corona

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Quarta di copertina / Trama

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Nel fitto di un bosco di uno dei monti dell’Italia settentrionale un uomo ritrova una baita appartenuta ai suoi antenati. Decide di ristrutturarla, per andarci a vivere e sfuggire così alla crudeltà del mondo che lo circonda.
Ma, mentre lavora, un colpo di piccone bene assestato cambia per sempre la sua vita. Dietro la calce, in un’intercapedine del muro, trova i corpi mummificati di tre donne. E si accorge che sulla loro carne sono stati incisi dei segni, quasi lettere dell’alfabeto di una lingua misteriosa e sconosciuta. Qual è la storia delle tre donne? Chi le ha nascoste lì? Qual è il terribile messaggio che quelle lettere vogliono comunicare? Ed è possibile che la cerva dagli occhi buoni che sbuca ogni sera dal bosco voglia davvero proteggere l’uomo e rivelargli qualcosa?
Mentre le tre mummie cominciano a infestare i suoi pensieri e i suoi sogni, trasformandoli in incubi e allucinazioni, l’uomo si mette alla ricerca della verità, una ricerca che può portarlo alla perdizione definitiva o alla salvezza. O forse a entrambe.
Mauro Corona, dopo anni in cui si era dedicato a forme più brevi, torna al romanzo vero e proprio. E lo fa con un libro di eccezionale forza letteraria, intenso, appassionante, commovente, un libro che racconta la maestosità della natura e la cattiveria degli uomini, denso di immagini indimenticabili – per esempio quella del pivason, l’uccello-vampiro, e del suo spaventoso verso, presagio di morte – e di momenti di straordinario lirismo, come la scena in cui il protagonista scende in una foiba e dentro una pozza d’acqua scopre un piccolo essere di cui si sente improvvisamente e inaspettatamente fratello.
Con Nel muro, Corona torna a raccontare i boschi, gli animali e gli uomini della sua terra, e rivela ancora una volta il suo talento narrativo, quella scrittura sorgiva che sa arrivare dritta al cuore del lettore, la sua capacità di unire un’immaginazione gotica e tenebrosa all’accuratezza realistica delle situazioni e dei luoghi, di scrivere pagine terribili e dolci al tempo stesso.
In una frase, Nel muro segna il ritorno al romanzo di uno dei più grandi scrittori italiani.

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