La stanza del vescovo – Piero Chiara

Incipit La stanza del vescovo

Nel tardo pomeriggio di un giorno d’estate del 1946 arrivavo, al timone di una grossa barca a vela, nel porto di Oggebbio sul Lago Maggiore.
L'”inverna”, il vento che nella buona stagione si alza ogni giorno dalla pianura lombarda e risale il lago per tutta la sua lunghezza, mi aveva sospinto, tra le dodici e le diciotto, non più in su di quel piccolo abitato lacustre, dove decisi di pernottare.
Trovandomi, come quasi sempre, solo a bordo, lavorai una mezz’ora per ormeggiare la barca in buona posizione, incappare le vele e prepararmi la cuccetta per la notte, sempre sotto gli occhi di un signore di mezza età, che fin da quando aveva gettato l’àncora nella melma del porticciolo aveva preso come passatempo lo spettacolo del mio arrivo.

Incipit tratto da:
Titolo: La stanza del vescovo
Autore: Piero Chiara
Casa editrice: A. Mondadori

Libri di Piero Chiara

Copertine di La stanza del vescovo di Piero Chiara

Quarta di copertina / Trama

Siamo nel 1946. La guerra è appena terminata, e sulle rive del Lago Maggiore si tenta di tornare a vivere. Il protagonista di questi nuovo, maturo e sapidissimo romanzo “lombardo” di Piero Chiara, è un giovanotto sui trent’anni che, a bordo di una piccola ma confortevole imbarcazione a vela, la Tinca, che governa da solo, con la perizia di un autentico marinaio, solca le acque, per diporto. Una sera, gettata l’ancora nel porticciolo di Oggebbio, incontra un signorotto del luogo, che attacca discorso con tono apparentemente distratto, e poi l’invita a Villa Cleofe, dove vive con la moglie, acida e assai più anziana di lui, la bella cognata Matilde,vedova, e un terzetto di devoti famigli. Il giovane si sente, insieme, attratto e respinto dal mistero che si respira in quelle stanze, ma accetta l’ospitalità aperta dell’Orimbelli, ingolosito, soprattutto della bellezza “alla Ronconi” di Matilde. Gli viene addirittura assegnata una camera, quella del vescovo, appunto, nel cui grande armadio si sfarina un’antica veste talare. Tutti vivono in penombra, come nelle grotte artificiali delle grotte Borromee, ancora storditi dagli avvenimenti che si sono succeduti in quegli anni bui, e non ancora abituati alle luci, non soltanto metaforiche, della pace. L’amicizia fra il proprietario della Tinca e Orimbelli si consolida, perché i due non tardano a scoprirsi accaniti dongiovanni, e si servono dell’imbarcazione-specchietto per le loro scorribande erotiche che Chiara, da acuto casanoviano, disegna con elegante malizia e sottile psicologia. Ma un tragico avvenimento viene a turbare il clima d’acquario della villa, e il fine ritratto di provincia si tinge di “giallo”. Cos’è avvenuto veramente nella darsena? Chi era l’uomo con la bicicletta intravisto sulla strada del lungolago? E Matilde è davvero vedova? C’è forse un giacosiano triste amore che i due cognati?
(Ed.Mondadori; Epoca Narrativa)

Indice cronologico opere e bibliografia di Piero Chiara

Da questo romanzo il film La stanza del vescovo per la regia di Dino Risi (1977)

Le corna del diavolo – Piero Chiara

Incipit Le corna del diavolo

Nella nostra piccola città, allora ancora più piccola di oggi ma tanto più gradevole e umana, al tempo in cui cominciavo a viverci per un numero imprecisabile ma ormai stragrande di anni, cioè intorno al 1936, viveva già il commendator Adamo Chiappini, un tenore in ritiro che i competenti di opera lirica ricordavano come una promessa, in parte mantenuta, del bel canto italiano.
Era, il Chiappini, insieme al basso Basilio Prodi, al tenore Socrate Caceffo e al baritono Taurino Parvis, uno dei quattro cantanti d’opera che avevano scelto la nostra città per ritirarvisi a carriera finita o interrotta.
(O soffio dell’april)

Incipit tratto da:
Titolo: Le corna del diavolo
Autore: Piero Chiara
Casa editrice: Mondadori

Libri di Piero Chiara

Copertine di Le corna del diavolo di Piero Chiara

Quarta di copertina / Trama

Dopo il successo ancora attualissimo della Stanza del vescovo, Chiara ritorna con Le corna del diavolo, a un genere che gli è particolarmente congeniale, quello del racconto breve ambientato in provincia, dove le persone, sotto lo sguardo attento e implacabile di amici e conoscenti, diventano subito personaggi tipi, spesso irresistibili nella linearità del loro disegno: tenori a riposo riacquistano la voce grazie all’amore e commercianti che la perdono sorprendendo la moglie con l’amante, ma che poi si riprendono, obbligando l’adultero ad acquistare i loro prodotti, e facendo così involontariamente arricchire, quando la borsa nera li rivaluta; teneri e indimenticabili idilli lacustri, propiziati da barche a vela e da castelli diroccati, e ritorni inattesi di soldati dispersi, che subentrano, con fair-play contadino, al commilitone che aveva preso il loro posto nel letto della moglie.  Ai gustosi intrighi erotici del suo repertorio, tra Boccaccio e Maupassant, Chiara aggiunge però, in questa raccolta, una dimensione nuova, una attenzione costante per il passaggio del tempo e per le figure, spesso effimere e poi dimenticate, che lo contrassegnano: dagli agenti dell’OVRA mimetizati da giocatori di poker ai “paolotti” tutti chiesa e casa, che però non disdegnano, nei loro viaggi, distrazioni extra-coniugali e proficue ricerche dei lingotti abbandonatidai tedeschi; dalla Milano anteguerra, con i commendatori che non perdonavano alla “faccia di palta” del narratore le sue vittorie al biliardo del Biffi, alla Svizzera dei campi di internamento, con i marenghi impastati dai profughi nei formaggi del Friuli. Una Italia minore trova, grazie ai doni di Chiara, di sapida comicità e di malinconia furtiva, il rilievo della narrativa maggiore, che coglie l’essenziale nel dettaglio e che, eludendo la storia ufficiale, ce ne offre invece l’intersezione illuminante con la storia quotidiana: come il racconto “Viva il re!”, dedicato a Vittorio Emanuele III e al suo fugace, emozionante contatto con il narratore, sospettato per un attimo di ordire un attentato, e che chiude simbolicamente, e felicemente, il volume. (Ed. Mondadori; Scrittori italiani e stranieri)

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Saluti notturni dal passo della Cisa – Piero Chiara

Incipit Saluti Notturni Dal Passo Della Cisa

Nella primavera d’una trentina d’anni or sono si era fatto notare a Parma, dove aveva preso alloggio nel migliore albergo, un tal Pilade Spinacroce, proveniente dal Sud America e apparentemente intenzionato a stabilirsi in città o meglio ancora in qualche località dei dintorni, se gli fosse capitato di comprar bene una villa padronale, magari circondata da un bel podere.
Si era fatto notare, lo Spinacroce, non solo per la sua aria forestiera, ma anche per la sua taglia, che eccedeva largamente la media. Chi lo incontrava sull’entrata d’una banca o nella “ruota” d’ingresso dell’albergo, dove aveva la sua base, non poteva fare a meno di voltarsi a guardarlo e di stare un momento a considerare la sua figura. Portava, benché i rigori dell’inverno avessero già ceduto ai primi tepori di primavera, un soprabito scuro di gabardine piú lungo davanti che dietro e un cappello nero floscio, che ne accrescevano la corposità. La sua faccia, che si vedeva sotto l’ala del cappello e che solitamente teneva chinata, era quella d’un pizzicagnolo o di un negoziante di maiali: massiccia, carnosa, senza espressione.

Incipit tratto da:
Titolo: Saluti Notturni Dal Passo Della Cisa
Autore: Piero Chiara
Casa editrice: Mondadori

Libri di Piero Chiara

Copertine di Saluti notturni dal passo della Cisa di Piero Chiara

Quarta di copertina / Trama

Storia d’amore e d’intrigo a sfondo giallo, Saluti notturni dal Passo della Cisa si svolge in una località a pochi chilometri da Langhirano. Qui, in una grande villa ottocentesca, si è ritirato a vivere Pilade Spinacroce, sessantenne con un passato di affarista e, si dice, una fortuna in denaro conservata in qualche nascondiglio domestico. Assieme allo Spinacroce vive Maria, cameriera e “dama di letto” del padrone che. vedovo da molti anni, ha una figlia sposatasi con Franco Salamarani, oculista con la fama di dongiovanni. Messi in allarme dalla relazione del “vecchio” con la cameriera e timorosi di perdere parte dell’eredità, i Salamarani intensificano le visite alla dimora paterna assieme al loro unico figlio. Poi, mentre moglie e pargolo si trasferiscono al mare, l’oculista, divenuto l’amante di Maria, trascorre di nascosto le proprie notti nella villa, o meglio, nel letto della domestica. Ma, la tresca tipica della provincia, si tinge di giallo la notte in cui vengono uccisi, con gran spargimento di sangue, lo Spinacroce e Maria. Il movente è sicuramente il denaro, ma chi ha ucciso non ha trovato nulla, e quella notte, oltre all’oculista dongiovanni, altre persone si aggiravano per le oscure sale dell’antico palazzo…

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