A nuoto verso casa – Deborah Levy

Incipit A nuoto verso casa - Deborah Levy

Incipit A nuoto verso casa

Quando Kitty Finch tolse la mano dal volante e gli disse che lo amava, lui non capì se era una minaccia o se voleva solo fare conversazione. L’abito di seta le scivolava giù dalle spalle mentre si chinava sul volante. Un coniglio attraversò di corsa la strada e l’auto sbandò. Lui si sentì dire: «Perché non prepari lo zaino e non vai a vedere i campi di papaveri del Pakistan come hai detto che ti piacerebbe fare?».
«Sì», disse lei.
C’era odore di benzina. Le mani di lei passavano veloci sul volante come i gabbiani che avevano contato due ore prima dalla loro stanza all’hotel Negresco.
Gli chiese di aprire il finestrino perché voleva sentire gli insetti chiamarsi l’un l’altro nella foresta. Lui abbassò il vetro e le chiese, gentilmente, di tenere gli occhi sulla strada.
«Sì», disse ancora lei, riportando gli occhi sull’asfalto. Poi disse che le notti erano sempre «morbide» sulla Costa Azzurra. I giorni invece erano duri e puzzavano di soldi.

Incipit tratto da:
Titolo: A nuoto verso casa
Autrice: Deborah Levy
Traduzione: Stefania Cherchi
Titolo originale: Swimming Home
Casa editrice: Garzanti
In copertina: 2014, Selenea Photo Art. Art Direction: XXYSTUDIO
Qui è possibile leggere le prime pagine di A nuoto verso casa

A nuoto verso casa - Deborah Levy

Incipit Swimming Home

When Kitty Finch took her hand off the steering wheel and told him she loved him, he no longer knew if she was threatening him or having a conversation. Her silk dress was falling off her shoulders as she bent over the steering wheel. A rabbit ran across the road and the car swerved. He heard himself say, “Why don’t you pack a rucksack and see the poppy fields in Pakistan like you said you wanted to?”
“Yes,” she said.
He could smell petrol. Her hands swooped over the steering wheel like the seagulls they had counted from their room in the Hotel Negresco two hours ago.
She asked him to open his window so she could hear the insects calling to each other in the forest. He wound down the window and asked her, gently, to keep her eyes on the road.
“Yes,” she said again, her eyes now back on the road. And then she told him the nights were always “soft” in the French Riviera. The days were hard and smelt of money.

Title: Swimming Home
Author: Deborah Levy
Language: English

Quarta di copertina / Trama

È un pigro pomeriggio d’estate sulle colline che fanno da cornice alla Costa Azzurra. Quando Nina lascia correre lo sguardo sul rigoglioso giardino della villa in cui sta passando le vacanze, qualcosa attira la sua attenzione. C’è una donna nella piscina. Sospesa nell’acqua, la carnagione bianchissima in contrasto con una fiammata di riccioli rossi. Sembra priva di sensi. Nina ha solo quattordici anni. È spaventata e aspetta l’intervento dei genitori, ma non ce n’è bisogno: pochi istanti dopo Kitty Finch esce dalla piscina e si accomoda mollemente su una sdraio. E ciò che a prima vista sembra solo un banale imprevisto ben presto diventa un incontro sconvolgente, in grado di sovvertire il destino degli ospiti della villa. Con il passare dei giorni la presenza sempre più ingombrante di Kitty si rivela tutt’altro che casuale. Chiusa in una busta di carta, la donna custodisce una poesia che vorrebbe far leggere a Joe, il padre di Nina. Joe è un famoso poeta, e Kitty una sua devota ammiratrice. Ma Joe non riesce ad aprire quella busta. È come se lì dentro si nascondesse l’ombra di un passato che per tutta una vita ha cercato di scrollarsi di dosso. Intanto la magnetica attrazione tra Kitty e Joe li trascina in un gorgo che tutto annulla: i traumi della storia, quelli dell’amore, il matrimonio, la letteratura. Dal crollo inesorabile dei vincoli familiari si salva soltanto Nina, non più fragile adolescente ma donna consapevole, capace di dire di sì alla vita giorno dopo giorno. Finalista al Booker Prize, A nuoto verso casa è stato acclamato dalla critica più prestigiosa e dai lettori come il solo, vero vincitore. La stampa ha paragonato la penna di Deborah Levy a quella di pietre miliari della letteratura come Virginia Woolf e D.H. Lawrence. In questa moderna favola dai toni intensi, l’autrice pone al centro della narrazione uno degli assoluti della psicoanalisi freudiana: il desiderio, espresso da una femminilità prorompente e primordiale, e il suo inseparabile rovescio, la pulsione di morte.
(Garzanti)

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Come l’acqua che spezza la polvere – Deborah Levy

Incipit Come l'acqua che spezza la polvere - Deborah Levy

Incipit Come l’acqua che spezza la polvere

Oggi il computer portatile mi è caduto sul pavimento di cemento di un bar sulla spiaggia. Lo tenevo sotto il braccio ed è scivolato fuori dalla custodia di gomma nera (a forma di busta), atterrando proprio dal lato dello schermo, che si è rotto. Ma almeno funziona ancora. Quel portatile contiene tutta la mia vita, e sa di me più di chiunque altro.
Dunque quello che voglio dire è che, se è in pezzi, lo sono anch’io.
Il salvaschermo è l’immagine di un cielo notturno viola scuro fitto di stelle e di costellazioni e della Via Lattea, che prende il nome dalla parola latina lactea. Molti anni fa mia madre mi disse che avrei dovuto scrivere «Via Lattea» in questo modo: γαλαξίας κύκλος. E che già Aristotele aveva alzato gli occhi verso quel latteo circolo dalla Calcidica, cinquantacinque chilometri a est dell’odierna Tessalonica, dove è nato mio padre. La stella più vecchia ha circa tredici milioni di anni, ma le stelle sul mio salvaschermo ne hanno solo due e sono made in China. E questo universo è ormai in frantumi.

Incipit tratto da:
Titolo: Come l’acqua che spezza la polvere
Autrice: Deborah Levy
Traduzione: Stefania Cherchi
Titolo originale: Hot Milk
Casa editrice: Garzanti
Qui è possibile leggere le prime pagine di Come l’acqua che spezza la polvere


Come l'acqua che spezza la polvere - Deborah Levy

Incipit Hot Milk

Today I dropped my laptop on the concrete floor of a bar built on the beach. It was tucked under my arm and slid out of its black rubber sheath (designed like an envelope), landing screen side down. The digital page is now shattered but at least it still works. My laptop has all my life in it and knows more about me than anyone else.
So what I am saying is that if it is broken, so am I.
My screen saver is an image of a purple night sky crowded with stars, and constellations and the Milky Way, which takes its name from the classical Latin lactea. My mother told me years ago that I must write Milky Way like this – galaxi´aV ku´kloV – and that Aristotle gazed up at the milky circle in Chalcidice, thirty-four miles east of modern-day Thessaloniki, where my father was born. The oldest star is about 13 billion years old but the stars on my screen saver are two years old and were made in China. All this universe is now shattered.

Title: Hot Milk
Author: Deborah Levy
Language: English

Quarta di copertina / Trama

Almería, sud della Spagna. La sabbia bruciata dal sole respira al tocco delle onde fresche del mare. Sulla battigia, una accanto all’altra, due donne contemplano affascinate l’orizzonte. Sono madre e figlia. Rose combatte da anni contro un dolore di cui nessuno riesce a scoprire la causa e che lei chiama «malattia immaginaria». Sofia ha venticinque anni e ha messo da parte sogni e ambizioni per prendersi cura di lei. Entrambe sono a un vicolo cieco.
Ma quell’estate segna un confine netto tra il loro passato e il loro futuro. Sofia incontra una ragazza che è il suo esatto opposto. Ingrid è indipendente, realizzata, libera da vincoli. Tra le distese brulle e desertiche di una Spagna assolata, con l’amica accanto, Sofia riprende in mano le fila della sua vita. Riprende in mano la propria giovinezza perduta. A partire dal rapporto con il padre che, anni prima, ha troncato per volere di Rose. E quest’ultima trova finalmente un medico che sappia davvero ascoltare e lenire le sue paure e le sue insicurezze. Perché a volte la sofferenza ha radici lontane e per liberarsene bisogna solamente ascoltarsi nel profondo. Perché a volte la cura migliore è il conforto di un abbraccio. Sofia e Rose non sono più le stesse e, in un unico istante, si ritrovano. Si ritrovano unite dal legame tra madre e figlia che nulla può spezzare. Qualunque cosa accada.
(Garzanti)

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Il pozzo vale più del tempo – Ginevra Lamberti

Incipit Il pozzo vale più del tempo - Ginevra Lamberti

Incipit Il pozzo vale più del tempo

Prima di stabilire di chi sia stata la colpa, bisogna considerare che la malinconia è nata nella stanza dei bambini. Strisciata fuori dalla porta, si è fatta strada fino a nascondersi nel pozzo.
Nella stanza ci sono tre letti. Sono occupati da due bambine di otto anni e un bambino di tre. La prima bambina è composta, tiene le mani in grembo e guarda davanti a sé con due grandi occhi gialli. La seconda bambina ha la bocca aperta da un marchingegno di ferro, non può parlare; si agita e lamenta. Il bambino più piccolo è arrivato dormendo. Versa in uno stato soporoso. La febbre gli fa venire tanto sonno. La testa è un impasto di ricci scuri per via del sudore.
Le infermiere hanno detto: «Speriamo che passi la notte.»
La stanza è un reticolo di crepe.
Dalle pareti la pittura si stacca in lingue. Prima di precipitare restano appese, prendendo a lungo in giro chi le guarda. L’ambiente non è sterile, ma non è sporco. Le infermiere sanno che l’unico modo per far morire di meno i pazienti è pulire, e pulirsi, tanto e bene. Non sempre è facile. Nei mesi secchi l’acqua va razionata. A scarseggiare sono molte cose, perché quello non è un vero ospedale. Lo chiamano ambulatorio.

Incipit tratto da:
Titolo: Il pozzo vale più del tempo
Autrice: Ginevra Lamberti
Casa editrice: Marsilio
In copertina: John Cimon Warburg, The Dryad, ca. 1910 © SSPL/NMeM/Royal Photographic Society / Bridgeman Images

Il pozzo vale più del tempo - Ginevra Lamberti

Quarta di copertina / Trama

Dalia, otto anni, dopo un incidente passa molti giorni in un ospedale che non è un ospedale perché il mondo non è più il mondo; viene dimessa, torna a casa, la casa è vuota, probabilmente tutti sono morti. Dalia, nei giorni di ricovero, conosce due bambini che hanno avuto pure loro un incidente: il bambino soporoso che non può parlare e Morena, che non si muove bene, ma riesce a scrivere. Uscita dall’ospedale, di quei bambini, Dalia per molto tempo non saprà niente. Senza famiglia, senza soldi e senza casa, Dalia viene accolta dalla vecchia Fioranna, che ha fatto la maestra, sa insegnare e sa difendersi. Fioranna insegna a Dalia due cose: che il mondo così come gli esseri umani l’hanno conosciuto esiste ancora ma è nascosto sulle montagne, e come seppellire un corpo. Così Dalia, dalla valle tiranneggiata dalla famiglia Boscarato, i padroni di sempre – perché il mondo non è più lo stesso, ma chi è padrone tale rimane –, ascende alla montagna e arriva al Villaggio dei Pozzi. Sapendo come accudire e come seppellire, Dalia sa come trattare i corpi vivi e morti, anche quelli non umani. È così che diventa l’assistente del macellaio Biagio e la dama di compagnia dell’eccentrica Orsola. Se in ospedale, da bambina, i compagni di Dalia erano il bambino soporoso e la bambina con la penna, nella sua età matura sono proprio loro: Biagio, il macellaio burbero perseguitato da una gatta bianca, e Orsola, la donna delle storie, che vive da sola in un albergo dismesso dove, come ormai ovunque, si è consumato un delitto.
La temperatura del mondo fluttua intorno ai cinquanta gradi, le coltivazioni stentano, il bestiame muore, in montagna c’è acqua ma non ci sono armi né medicinali, in pianura ci sono sia le armi che i medicinali, ma non ci sono né acqua né cibo. È naturale che i Boscarato, come fanno sempre i padroni, tentino di mangiarsi tutte le risorse. Ma quando la temperatura esterna è tanto alta il capitale umano è l’unica risorsa che resta, e mangiare non ha più un significato così metaforico.
Se Agota Kristof, nella Trilogia della città di K., ha scritto che si è davvero capaci di uccidere quando si ammazza qualcosa che non bisogna mangiare, se Cormac McCarthy, ne La strada, ha descritto esseri umani che sono riserve alimentari di altri esseri umani, Ginevra Lamberti narra come la produzione di massa cambia il racconto dell’uomo che mangia l’uomo. In un romanzo potente, per scrittura e immaginazione, in cui la tenerezza è prima di tutto un abisso, anzi un fosso, nel quale le prostitute vendono i gesti e le parole della cura e non quelli della seduzione – ammesso che ci sia differenza –, e dove il Veneto è un Far West e Venezia ha smesso di essere un pesce perché la laguna non esiste più, Ginevra Lamberti fonda la mitologia del cambiamento climatico, del rispetto dei morti senza il culto, delle leggende che si ripetono uguali e maledicono secondo maledizioni sempre nuove perché sempre nuove sono le colpe, e dell’amore, che dopo aver fatto movere il sole e le altre stelle, per secoli, adesso le fa implodere.
(Marsilio)

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