La canzone di Colombano – Alessandro Perissinotto

Muli: razza maledetta e traditrice.

Incipit La canzone di Colombano

Muli: razza maledetta e traditrice.
Ancora una volta aveva dovuto smontare dalla sua cavalcatura, là dove la mulattiera si faceva sentiero e il sentiero si faceva scala di pietre. Imprecava contro la bastarda, ma era soprattutto per dimenticare la paura e i pensieri più foschi.
Era peste? Sarebbe stata peste?
Per la prima volta la fiducia che i villani riponevano in lui gli diede un senso di fastidio che lo prese poco sotto lo stomaco.
I margari che avevano trovato i quattro morti si erano rivolti a lui come a chi ha il potere di salvare il paese dalla rovina; come se lui e solo lui avesse potuto fermare il maleficio o il contagio.

Incipit tratto da:
Titolo: La canzone di Colombano
Autore: Alessandro Perissinotto
Casa editrice: Sellerio

Libri di Alessandro Perissinotto

Copertina di La canzone di Colombano di Alessandro Perissinotto

Quarta di copertina / Trama

Nel cuore di una canzone del sedicesimo secolo, conservata come in uno scrigno geloso, c’è la storia fosca e triste che questo libro racconta. Quattro omicidi, di una povera famiglia di pastori, tra cui una fanciulla in fiore, Floretta. Ne è accusato Colombano Romean, un maestro minatore provenzale sfidato a realizzare da solo l’opera immane del traforo della Thullie che ancora si ammira in val di Susa. «A cantarmela» scrive l’autore «in uno sperduto alpeggio alle pendici del monte Bellavarda, fu una anziana donna allora più che ottuagenaria, che tutti chiamavano semplicemente Ghitin. La canzone appariva estremamente corrotta nel linguaggio, con ampie contaminazioni. Era poi mancante di alcune parti, che la donna sostituiva con un allegro canterellare, benché la storia narrata fosse in realtà estremamente triste e cruenta». Guidato dalle strofe e dagli archivi, Perissinotto svolge un’inchiesta e, con la materia degli indizi restituiti dalla storia, plasma questo racconto. Che è un giallo, che contiene un complotto di brutale prepotenza e una falsa accusa, ma che consegna a chi lo legge uno strano effetto oltre la tensione dell’intreccio. Come un apologo sul tempo che passa e sulla vanità delle opere degli esseri umani.
(Ed. Sellerio; La Memoria)

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