End Zone – Don DeLillo

Incipit End Zone – Don DeLillo

Incipit End Zone

Taft Robinson fu il primo studente di colore a iscriversi al Logos College, nel Texas occidentale. Lo presero perché era veloce.
Alla fine di quella prima stagione risultò di gran lunga uno dei migliori running back nella storia del Sudovest. Presto, magari, avremmo potuto vederlo anche sugli schermi televisivi di tutta la nazione a sponsorizzare automobili da ottomila dollari o schiume da barba al profumo di avocado. Il suo nome su una catena di fast food. La sua vita sul retro delle confezioni di cereali. Si potrebbe scrivere un soporifero saggio monografico solo su questo tema: l’atleta moderno come mito commerciale, con tanto di note a piè di pagina. Ma le cose sono andate diversamente. Quell’anno ebbe altre modulazioni, almeno per me: il fenomeno dell’anti-applauso, parole disarticolate in versi belluini, e conseguentemente un silenzio di una consistenza metallica. Quindi Taft Robinson, per giusto o sbagliato che sia, è una mera presenza che aleggia in questo libro. E io, in un certo senso, penso che sia giusto cosí. Il palazzo è da tempo infestato dalla presenza (ed ecco che arriva la doppia metafora) dell’uomo invisibile.

Incipit tratto da:
Title: End Zone
Author: Don DeLillo
Publisher: Penguin
Language: English
Qui è possibile leggere le prime pagine di End Zone

End Zone – Don DeLillo

Incipit End Zone

Taft Robinson was the first black student to be enrolled at Logos College in West Texas. They got him for his speed.

Quarta di copertina / Trama

Ci sono solo tre tipi di persone tra i giocatori di football, solo tre: i sempliciotti, i pazzi scatenati e gli esiliati. E se le prime due categorie sono abbastanza facili da capire, i piú affascinanti sono gli uomini che eleggono a patria il geometrico poligono del campo, coloro che nel gioco trovano una distanza in cui scontare l’esilio dalla Storia e dalla colpa. Gary Harkness è uno di questi uomini. Running back della squadra del Logos College – un posto in mezzo al deserto, «nella periferia della periferia del nulla, circondato da un terreno roccioso cosí piatto e brullo che evocava immagini da fine della Storia» -, Gary ha girato molte squadre e università prima di arrivare lí. Questo perché per applicare le regole di un gioco, sia esso il football o la scuola o la vita, bisogna crederci almeno un po’ a queste regole: e Gary invece sembra dotato di un’enorme, inesauribile incredulità. End zone è il racconto di una stagione di vittorie senza precedenti per la squadra della Logos, vittorie che però non danno a Gary quell’agognata pace spirituale che invece trova, inaspettatamente, in un altro «gioco». Proprio in quest’annata di trionfi, Gary inizia a sprofondare nello studio – uno studio che rasenta l’ossessione, la contemplazione, l’estasi – delle armi nucleari, delle strategie militari di annientamento globale, delle prove generali di apocalisse. Quella di Gary è una fuga dalla paura della morte, dal terrore del tempo e delle passioni, è la ricerca di una dimensione in cui «i pensieri siano improntati a una sana ovvietà, le azioni non siano gravate dalla Storia, dall’enigma, dall’olocausto o dal sogno». Ma nel momento in cui manca la morte, manca anche la trascendenza e quindi l’accesso al sublime: il linguaggio non trasmette piú niente – il senso passa da una parte all’altra come una palla stretta da un giocatore impazzito – e l’apocalisse diventa un’opzione come un’altra. È questa la grande sfida, la partita decisiva, giocata da Don DeLillo fin da questo suo secondo romanzo (End zone è del 1972 e oggi tradotto per la prima volta in italiano) e che fa dell’autore di Underworld e Rumore bianco il grande cantore della contemporaneità.
(Ed. Einaudi; Supercoralli)

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