Il sipario – Milan Kundera

Incipit Il sipario – Milan Kundera

Incipit Il sipario

Su mio padre, che era musicista, circolava un aneddoto. È con degli amici in un posto dove, da una radio o da un grammofono, risuonano gli accordi di una sinfonia. Gli amici, tutti musicisti o melomani, riconoscono immediatamente la Nona di Beethoven. Chiedono a mio padre: «Che cos’è questa musica?». E lui, dopo una lunga riflessione: «Si direbbe Beethoven». Tutti trattengono le risate: mio padre non ha riconosciuto la Nona sinfonia ! « Ne sei sicuro?». «Sì,» dice mio padre «Beethoven dell’ultimo periodo». «Come fai a sapere che è l’ultimo periodo?». A questo punto mio padre attira la loro attenzione su un certo passaggio armonico che un Beethoven più giovane non avrebbe mai potuto utilizzare.
L’aneddoto è senza dubbio solo un’invenzione maliziosa, ma chiarisce bene che cosa sia la coscienza della continuità storica, uno dei segni che distinguono l’uomo appartenente a quella che è (o era) la nostra civiltà. Ai nostri occhi, tutto assumeva il carattere di una storia, appariva come una sequenza più o meno logica di fatti, di atteggiamenti, di opere. Quando ero molto giovane, conoscevo, in modo del tutto naturale, senza alcuno sforzo, l’esatta cronologia delle opere dei miei autori preferiti. Impossibile pensare che Apollinaire abbia scritto Alcool dopo Calligrammi: in tal caso, infatti, sarebbe un altro poeta e la sua opera avrebbe un altro senso! Mi piace ogni quadro di Picasso preso di per sé, ma anche l’insieme dell’opera di Picasso intesa come un lungo cammino di cui conosco a memoria la successione delle tappe. Le celebri domande metafisiche: da dove veniamo?, dove andiamo? hanno, in arte, un senso chiaro e concreto, e non restano affatto senza risposta.
(Coscienza della continuità)

Incipit tratto da:
Titolo: Il sipario
Autore: Milan Kundera
Traduzione: Massimo Rizzante
Titolo originale: Le Rideau
Casa editrice: Adelphi
Qui è possibile leggere le prime pagine di Il sipario

Il sipario - Milan Kundera

Quarta di copertina / Trama

Da tempo Kundera accompagna la sua attività di romanziere con una costante riflessione sul romanzo, che è per lui un’arte autonoma, da leggere non già nel «piccolo contesto» della storia nazionale, ma nel «grande contesto» della storia sovranazionale – di quella che Goethe chiamava Weltliteratur. Sterne reagisce a Rabelais e ispira Diderot, Fielding si richiama a Cervantes e con Fielding si misura Stendhal, la tradizione di Flaubert prosegue nell’opera di Joyce ed è nella sua riflessione su Joyce che Broch sviluppa una poetica del romanzo: è questa l’idea che Kundera ci offre del romanzo, organismo delicato, prezioso, che vive di un’unica storia dove gli scrittori dialogano in segreto e si illuminano a vicenda.Ma non è questo il solo aspetto stupefacente di una riflessione lontana anni luce dall’angustia delle storie letterarie, dal narcisistico gergo della «teoria della letteratura» e dalla seriosità inamidata degli agelasti, coloro che non sanno ridere. Quando parla del romanzo Kundera fa pensare a un pittore che ci accolga nel suo atelier gremito di quadri e ci racconti di sé ma soprattutto degli altri, di coloro che ama e che lo hanno ispirato – vale a dire dei romanzi che agiscono, come una occulta presenza, all’interno della sua opera. E il suo racconto è nitido, di una impressionante trasparenza, e insieme lieve, affascinante. È così, salvaguardando il proprio linguaggio ed evitando scrupolosamente il gergo accademico, che un romanziere come Kundera, capace di strappare il «sipario della preinterpretazione», parla di ciò che più gli sta a cuore: la ragion d’essere del romanzo, «l’ultimo osservatorio dal quale si possa abbracciare la vita umana nel suo insieme».
(Ed. Adelphi; Biblioteca Adelphi)

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