Sei stato felice, Giovanni – Giovanni Arpino

Erano lì, all’angolo.

Incipit Sei stato felice, Giovanni

Erano lì, all’angolo. Olga me l’aveva detto. “Ci sono tutti e tre. Fa’ attenzione. Sono senza giacca ma fa’ attenzione.”
Era importante che non avessero la giacca, nelle tasche dei calzoni si porta raramente il coltello, mai quando lo credi necessario.
Già due volte erano venuti a cercarmi, da quella sera, Olga era riuscita a tenerli lontani, aveva pianto e pregato, la padrona dell’albergo non si era accorta di nulla.
Sdraiato sul letto li avevo sentiti scendere le scale bestemmiando sottovoce.

Incipit tratto da:
Titolo: Sei stato felice, Giovanni
Autore: Giovanni Arpino
Casa editrice: Rusconi

Libri di Giovanni Arpino

Copertine di Sei stato felice Giovanni di Giovanni Arpino

Quarta di copertina / Trama

Non è facile spiegarsi perché Arpino si sia caparbiamente rifiutato di ripubblicare il suo primo romanzo… Se quel rifiuto era motivato da un giudizio critico negativo della propria «opera prima», Arpino sbagliava. Dell’«opera prima», Sei stato felice, Giovanni ha senza dubbio qualche caratteristica… e tuttavia mostra una straordinaria sicurezza espressiva, e l’anticipazione assai più che embrionale, del «timbro Arpino» della maturità. Arpino non ha mai preso le stigmate dello scrittore di razza spavalda, anche nelle opere più smorzate e teneramente ironiche (La suora giovane, La trappola amorosa); la spavalderia era essenziale al vigore della sua vitalità. «Ambizioso prodigo prepotente e innamorato», si definisce qui; e tale è sempre rimasto…
Ciò che resta vivo, dopo più di trent’anni, di questo primo romanzo di Arpino, è, da un lato, la capacità di restituire la turgida e meravigliosa avventura del vivere; dall’altro lato la malinconia segreta di quella avventura. Il romanzo, al suo apparire, fu salutato come picaresco. E in effetti tutta la vicenda, densa di invenzioni narrative, di figure efficacemente sbalzate, di ambienti pittoreschi (ma sempre sociologicamente credibili, come è dote costante del narratore realista: «vera gente, mica roba tirata su aiutandosi con i ricordi del cinema», aveva annotato Vittorini), è una vicenda dai colori gagliardi, gagliardamente raccontata: la corsa ciclistica e il fallimento della vendita delle aranciate, la notte dei contrabbandieri, l’amore con Maria sono pagine che il tempo non ha saputo cancellare dalla memoria, e che sono certo rimarranno a lungo nella memoria dei nuovi lettori.
Ma c’è il pedale fondo, il controcanto lirico della malinconia a dare sapore all’avventura picaresca. La contestazione di Giovanni non è, com’era, per la maggior parte dei neorealisti coevi, di natura ideologico-politica e di patina espressionistica, ma piuttosto di natura libertario-vitalistica, secondo una linea che si sarebbe meglio chiarita in seguito, ascensionale verso il sovrannaturale ed il magico.
Giovanni sconta la esuberanza vitale con il sentirsi ostaggio segreto della solitudine, «un proiettile disperso», «un reduce…non lo ricordavo più, ma da qualche cosa ero reduce di sicuro». Non è un caso che il romanzo si chiuda su una nota di incertezza e speranza («avrei sperato qualsiasi cosa e ogni vita e amicizia») che è un’endiadi intimamente religiosa. Senza una simile liberazione dal reale, ci dice, comincia a dirci Arpino, la vita non è che «un cimitero travestito da carnevale».
(Dalla Nota critica di Geno Pampaloni)
(Ed. Rusconi; Narrativa)

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