Incipit Resisti, cuore
Qui è possibile leggere le prime pagine di Resisti, cuore«Perché Omero chiama gli uomini “i mortali”?»
Incipit tratto da:
Me lo ha chiesto uno studente al primo anno di superiori, mentre illustravo il viaggio che avremmo intrapreso insieme a Ulisse e settembre dilagava in aula senza voler cedere all’autunno imminente.
«Perché è di questo che siamo fatti» ho detto, accompagnando la risposta con una noiosa spiegazione tecnica del termine brotòs, composto dall’antica radice mr– (da cui morire), che nel greco omerico ha esito in br– e dal suffisso (-to) che serve a dire la materia di cui è fatto qualcosa. «Brotòs quindi non è solo colui che può morire, ma chi è fatto con la morte e quindi ha a che fare con la morte. L’uomo è impastato con la morte… Più o meno come quando diciamo legnoso, ferroso, pietroso.»
«Ma perché era fissato con la morte?» mi riporta al punto che gli interessa il volto, per un istante adulto, del primo studente, non soddisfatto delle divagazioni linguistiche. A un adolescente serve il perché e il per chi delle cose, non gli basta mai il come.
«Per non farti perder tempo» ho risposto.
«Ma io il tempo lo perdo se leggo Omero!» è intervenuto il comico che c’è in ogni classe.
«Invece lo guadagni.»
«E come?»
«Perché ti svegli.»
(Prologo)
Titolo: Resisti, cuore. L’Odissea e l’arte di essere mortali
Autore: Alessandro D’Avenia
Casa editrice: Mondadori
Quarta di copertina / Trama
Odissea: è il titolo del poema epico forse più noto e amato della nostra civiltà ed è anche il termine a cui si ricorre per definire un’esperienza travagliata e, in taluni casi, la vita tout court. Perché soltanto al titolo di quest’opera concediamo di essere sinonimo di vita? Ulisse è un eroe nuovo: avrebbe la possibilità di diventare immortale rimanendo con la bellissima Calipso, ma vuole tornare a Itaca da Penelope e Telemaco, e compiere il proprio destino mortale, paradossale destino di gioia. Proprio perdendo tutto, persino la propria identità, da re a mendicante, rinasce grazie a chi lo sa riconoscere e amare. Se Achille è l’eroe che sovrasta il mondo, Ulisse ne è invece sovrastato. Il suo multiforme ingegno scaturisce dalla necessità di difendersi dai colpi della storia. La sua è una vicenda di resistenza, che culmina nei dieci anni necessari per tornare a casa, dopo i dieci trascorsi a combattere una guerra non sua: a quanti è accaduto qualcosa di simile? E quanto abbiamo sofferto, quanti compagni abbiamo perduto, quante volte abbiamo fatto naufragio, prima di capire che l’unica cura per l’invincibile nostalgia di futuro che ci affliggeva era tornare nella nostra Itaca, non quella del passato ma quella ancora da fare rimanendo fedeli al nostro destino?
Alessandro D’Avenia ripercorre i ventiquattro canti del poema come un’arte di vivere, e lo fa risplendere di tutta la sua luce. Ci accompagna attraverso l’opera come studioso di Lettere classiche che l’ha eletta a suo principale ambito d’interesse, come insegnante che da anni ne promuove la lettura integrale ad alta voce, come intellettuale abilissimo nell’interpretare lo spirito del tempo. E nel raccontarci le peripezie di Ulisse vi ritrova la propria esperienza personale e il percorso di ogni uomo verso il proprio originale compimento esistenziale.
Se abbiamo perso la gioia della nostra odissea, rileggere l’Odissea è il modo migliore per “fare ritorno”. Allora resistere non è rimanere fermi, ma ri-esistere: nascere. Questa è l’arte di essere mortali.
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