Incipit La camera di Baltus
Irresistibilmente, senza potersi opporre né con la volontà né con la forza, da un’altezza imprecisata, cadere verso il basso che chiama. Dal punto ín cui si trova, e nella posizione in cui si trova, anche se non guarda sotto di lui e chiude gli occhi è dominato dall’impressione insieme orribile e inebriante dí essere risucchiato, e di precipitare — lui fatto di carne e di materia — attraverso l’aria trasparente, increata, illusoria. Non è il volteggiare del colombo che lo avvicina, stupito dalla sua presenza, nell’aria immobile, e nemmeno la discesa in spirali leggere verso il suolo della sua piuma bianca. È un lento sprofondare, cui si associano sensazioni dí impotenza: cercare invano un appiglio e non trovarlo, distaccarsi, roteare mentre la terra si avvicina, sempre più scura. Allora grida — e più grida, e si lamenta, più la gabbia che lo contiene oscilla, e tutto ricomincia.
Incipit tratto da:
Titolo: La camera di Baltus
Autrice: Melania G. Mazzucco
Casa editrice: Einaudi
Quarta di copertina / Trama
Romanzo a incastro, La camera di Baltus intreccia in un perfetto moltiplicarsi di specchi tre storie che si assomigliano pericolosamente, legate da un misterioso filo che attraversa i secoli: quella di Maestro Enrico, pittore della fine del Quattrocento, autore degli affreschi della camera che dà il titolo al romanzo, sulla torre del castello di Bastia del Garbo; quella di Baltus, ufficiale napoleonico dal fascino stendhaliano, che vive le sue ultime ore proprio nella camera della torre che da lui prende il nome; quella, infine, di Arsenio Ventura, il critico contemporaneo chiamato a dare un giudizio sugli affreschi ormai corrosi, ma bellissimi ed enigmatici, che alla luce di una lampada si rianimano e si trasformano in un racconto di amore e guerra, donne e uomini, libertà e solitudine. È cosí che prende vita un viaggio iniziatico nel tempo e nello spazio, dove passato e presente si contrappongono in un gioco combinatorio di grande ricchezza metaforica e varietà stilistica.