Incipit La piccola conformista
Sono nata da una pecorina, con mia madre carponi su un tappeto in finta pelle di mucca. Non ne sono certa, ma ho buoni motivi per supporlo. Intanto perché, quando mi hanno concepita, i miei genitori si trovavano in una località sciistica. E poi perché non hanno mai nascosto la loro preferenza per questa posizione. A essere precisi, associo i titoli di testa della trasmissione televisiva L’École des fans al tempo in crescendo della prima pecorina che mi fu dato di sorprendere. Lo so che non tutti sono così fortunati da avere genitori sessantottini che facevano «ginnastica» in camera loro ogni domenica pomeriggio, mentre la figlia, con lo sguardo fisso sul conduttore Jacques Martin, sognava righe di lato e calzini merlettati. Io sì.
Incipit tratto da:
Sono nata, insomma, da destra, in una famiglia di sinistra. Questa inclinazione, evidente fin dal mio primo vagito, emesso il giorno di Natale per la disperazione di quell’atea di mia madre – che non mi aspettava così presto – e di quell’ebreo di mio padre – che in questo tiro del destino scorse le stimmate del malocchio gettatoci, a suo dire, dai nostri vicini di pianerottolo –, si confermò fin dalla mia più tenera età. E per quanto entrambi consacrassero i primi tre anni della mia vita al tentativo di convertirmi alla loro visione del mondo, rimasi un’incorreggibile reazionaria. A quindici mesi non me la facevo più addosso e mi addormentavo tutte le sere alle otto in punto. Quando i miei genitori mi trascinavano in discoteca con loro, non volevo saperne di ballare e preferivo distendermi sui divanetti del locale, non certo destinati a tale scopo, colpevolizzandoli con lo sguardo. Vagheggiavo vestitini blu. Mi sottraevo alle zampe di elefante. Peggio ancora: non riuscivo mai a rompere neanche uno dei vasi che mia madre piazzava strategicamente alla mia portata sul tavolino del salotto, sperando di vedermeli buttare a terra. La sua migliore amica, infatti, era categorica: tutti i figli dei sessantottini lo facevano. Questo caparbio rifiuto di affermare il mio ego non mancò di preoccupare Elizabeth. Voleva portarmi da uno psichiatra infantile. Ma mio padre si oppose, perché nel quartiere non c’erano psichiatri ebrei.
Titolo: La piccola conformista
Autrice: Ingrid Seyman
Traduzione: Marina Di Leo
Titolo originale: Le petite conformiste
In copertina illustrazione di: Bijou Karman
Casa editrice: Sellerio
Incipit Le petite conformiste
Je suis née d’une levrette, les genoux de ma mère calés sur un tapis en peau de vache synthétique. Je n’en suis pas certaine mais j’ai de fortes présomptions. D’abord parce que mes parents étaient aux sports d’hiver lorsqu’ils m’ont conçue. Surtout parce qu’ils n’ont jamais caché leur passion pour cette position. Pour tout dire, j’associe le générique de L’École des fans au tempo crescendo de la première levrette qu’il me fut donné de surprendre. Je sais que tout le monde n’a pas eu la chance d’avoir des parents soixante-huitards qui faisaient de la « gymnastique » dans leur chambre tous les dimanches après-midi, tandis que leur gamine, collée devant Jacques Martin, rêvait de raies sur le côté et de socquettes en dentelle. Moi, oui.
Incipit tratto da:
Titre: Le petite conformiste
Auteur: Ingrid Seyman
Editeur: Éditions Philippe Rey
Langue: Français
Quarta di copertina / Trama
La piccola conformista è un romanzo quasi completamente affidato alla voce di un personaggio. Basta sfogliare qualche pagina, leggere le prime righe, ed eccola lì l’eroina della storia, Esther Dahan. Comica, senza freni inibitori, tagliente, forse indimenticabile.
Esther è una bambina intimamente conservatrice, si autodefinisce «di destra» e si è trovata a crescere in una famiglia di sinistra negli anni Settanta a Marsiglia. Da irriducibile reazionaria sogna l’ordine, il rispetto delle regole, i «vestitini blu» delle brave ragazze cattoliche, desidera una vita inquadrata dalla normalità. In casa sua, a parte lei, tutti sono eccentrici, girano nudi, si lanciano piatti quando litigano, rifuggono regole e comportamenti conformisti, perbenisti, benpensanti. La madre, atea, anticapitalista e sessantottina, lavora come segretaria al municipio. Il padre è un ebreo francese nato in Algeria, ed esorcizza l’ansia di un prossimo olocausto stilando liste maniacali di compiti da svolgere. Si aggiungono poi un fratello minore iperattivo e i nonni paterni, che vivono nel ricordo nostalgico del glorioso passato nell’Algeria francese e trascorrono le giornate giocando alla roulette con i ceci, che serviranno poi a cucinare il cuscus domenicale.
L’esistenza di Esther subisce una svolta quando i genitori, imprigionati nelle loro contraddizioni, decidono inspiegabilmente di mandarla in pasto al nemico, ossia in una scuola cattolica nel quartiere più borghese di tutta Marsiglia. Esther trova forse il suo paradiso personale, osserva e riflette sullo stile di vita dei genitori, dei nonni, delle compagne così diverse da lei, fin quando un segreto custodito a lungo metterà tutto in discussione.
La comicità può raccontare anche gli aspetti più oscuri degli individui, l’ironia e la lucidità possono sondare il mistero della felicità e del dolore. In questo romanzo il desiderio di voler essere come tutti gli altri fa esplodere ogni logica parentale e ogni lessico familiare, e la quotidiana follia e normalità di una famiglia diventano lo strumento di un’appassionata ricerca di vita e di verità, con un sorriso a rischiarare il buio.
(Ed. Sellerio; Il contesto)