Il dicembre del professor Corde – Saul Bellow

Incipit Il dicembre del professor Corde - Saul Bellow

Incipit Il dicembre del professor Corde

Corde, che in America conduceva la vita di un executive (non è forse un decano di collegio una sorta di funzionario esecutivo?), si trovava, ora, a sei-settemila miglia dalla sua base: a Bucarest, in pieno inverno, tappato in un appartamento vecchiostile. Tutti quanti, lì, erano gentili – amici e parenti, gente col cuore in mano – e Corde voleva loro bene, per lui erano “la vecchia Europa”. Però avevan le loro faccende, ciascuno il suo intenso da-fare. Non era, quella, una visita ordinaria. La madre di sua moglie era morente. Corde era venuto per dare conforto e sostegno. Senonché non poteva far molto, per Minna. C’era fra l’altro il problema della lingua. Lì pochi parlavano francese, anche meno l’inglese. Quindi Corde, il decano, trascorreva le giornate nella vecchia stanza di Minna, sorseggiando grappa alla prugna, sfogliando annosi libri, guardando dalla finestra gli edifici danneggiati dal terremoto, il cielo invernale, i grigi piccioni, gli alberi scapitozzati, gli squallidi tram arancion-rugginosi.

Incipit tratto da:
Titolo: Il dicembre del professor Corde
Autore: Saul Bellow
Traduzione: Pier Francesco Paolini
Titolo originale: The Dean’s December
Casa editrice: Mondadori
Qui è possibile leggere le prime pagine di Il dicembre del professor Corde

Il dicembre del professor Corde - Saul Bellow

Incipit The Dean’s December

Corde, who led the life of an executive in America—wasn’t a college dean a kind of executive?—found himself six or seven thousand miles from his base, in Bucharest, in winter, shut up in an old-fashioned apartment. Here everyone was kind—family and friends, warmhearted people—he liked them very much, to him they were “old Europe.” But they had their own intense business. This was no ordinary visit. His wife’s mother was dying. Corde had come to give support. But there was little he could do for Minna. Language was a problem. People spoke little French, less English. So Corde, the Dean, spent his days in Minna’s old room sipping strong plum brandy, leafing through old books, staring out of the windows at earthquake-damaged buildings, winter skies, gray pigeons, pollarded trees, squalid orange-rusty trams hissing under trolley cables.

Incipit tratto da:
Title: The Dean’s December
Author: Saul Bellow
Publisher: Penguin
Language: English

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Quarta di copertina / Trama

Albert Corde, mite professore universitario a Chicago, intraprende una battaglia personale contro i teppisti della città dove vive, affrontando in prima persona il progressivo e inaccettabile disfacimento del mondo che lo circonda. Un libro toccante in grado di far luce sui problemi più scottanti del nostro tempo.
(Ed. Mondadori)

Il circolo Bellarosa – Saul Bellow

Incipit Il circolo Bellarosa – Saul Bellow

Incipit Il circolo Bellarosa

In quanto fondatore dell’Istituto Mnemosine di Philadelphia, in quarant’anni di attività professionale ho fatto scuola a molti dirigenti industriali, politici e militari di carriera sicché adesso – dopo essere andato in pensione e aver lasciato l’Istituto nelle capaci mani di mio figlio – mi piacerebbe tanto dimenticare l’arte del ricordare. È un proposito, questo, degno di Alice nel Paese delle meraviglie. Negli anni del crepuscolo, dopo aver appeso i guantoni al chiodo (o rifoderato il pugnale), non ti va proprio di seguitare a fare ciò che hai fatto per tutta la vita: cambiare, cambiare, tutto il tuo regno per qualcosa di nuovo! Un avvocato non vorrà più saperne di cause, un medico di ammalati, un generale si darà alla pittura su ceramica, un diplomatico si appassionerà di pesca all’amo. Il mio caso è differente, in quanto io devo il mo successo nella vita al dono innato della memoria. Aggettivo ingannevole, “innato”, riferito alle fonti recondite di ogni cosa che realmente conta. Come ero solita ripetere ai miei allievi: «La memoria è vita». E questa era la maniera spiccia per far colpo su un esponente del Consiglio per la Sicurezza Nazionale che io stavo preparando; senonché oggi vengo a trovarmi in una posizione assai scomoda per il semplice fatto che – se il tuo lavoro verte sulla memoria, che è la vita stessa – non puoi andartene in pensione se non nella morte.

Incipit tratto da:
Titolo: Il circolo Bellarosa
Autore: Saul Bellow
Traduzione: Pier Francesco Paolini
Titolo originale: The Bellarosa Connection
Casa editrice: Mondadori
Qui è possibile leggere le prime pagine di Il circolo Bellarosa

Il circolo Bellarosa - Saul Bellow

Incipit The Bellarosa Connection

As founder of the Mnemosyne Institute in Philadelphia, forty years in the trade, I trained many executives, politicians, and members of the defense establishment, and now that I am retired, with the Institute in the capable hands of my son, I would like to forget about remembering. Which is an Alice-in-Wonderland proposition. In your twilight years, having hung up your gloves (or sheathed your knife), you don’t want to keep doing what you did throughout your life: a change, a changeyour kingdom for a change! A lawyer will walk away from his clients, a doctor from his patients, a general will paint china, a diplomatist turn to fly-fishing. My case is different in that I owe my worldly success to the innate gift of memorya tricky word, “innate, ” referring to the hidden sources of everything that really matters. As I used to say to clients, ‘Memory is life. ” That was a neat way to impress a member of the National Security Council whom I was coaching, but it puts me now in an uncomfortable position because if you have worked in memory, which is life itself, there is no retirement except in death.

Incipit tratto da:
Title: The Bellarosa Connection
Author: Saul Bellow
Publisher: Penguin
Language: English

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Quarta di copertina / Trama

Chi è, o che cosa si nasconde dietro Billy Rose, il ricco produttore che durante la guerra impiega tutte le sue risorse per salvare gli ebrei dai nazisti? Romanzo che ha per tema la sopravvivenza della memoria, della vita interiore, in un mondo che vive solo per il presente. La realtà ebraico-americana esplorata da Bellow con magistrale acutezza e profonda partecipazione.
(Ed. Mondadori; Oscar scrittori del Novecento)

Il dono di Humboldt – Saul Bellow

Incipit Il dono di Humboldt di Saul Bellow

Incipit Il dono di Humboldt

Il libro di ballate pubblicato da Von Humboldt Fleisher negli anni Trenta riscosse un immediato successo. Humboldt era, appunto, colui che tutti quanti attendevano. Io per me l’aspettavo ardentemente, dal mio fondo di provincia nel Midwest, ve l’assicuro. Scrittore d’avanguardia, il primo della sua generazione, era bello, era biondo, grande e grosso, serio e insieme spiritoso, ed era colto. Insomma, aveva tutto. Nessun giornale mancò di recensire il suo libro. La sua foto comparve su «Time» senza ingiurie e su «Newsweek» con elogi. Io le lessi con trasporto, le Ballate di Arlecchino. Ero studente all’Università del Wisconsin e non pensavo ad altro, giorno e notte, che alla letteratura. Humboldt mi rivelò nuovi orizzonti, nuovi modi di fare. Andavo in estasi. Gli invidiavo il talento e la fortuna, invidiavo la sua fama. E a maggio me ne andai all’Est proprio per lui: contando di vederlo, magari di avvicinarlo. Il viaggio, in corriera, passando per Scranton, durò una cinquantina di ore. Che importava? Guardavo dal finestrino aperto: non avevo mai visto, prima, vere montagne. Gli alberi mettevano gemme e germogli. Pareva la Pastorale di Beethoven. Mi sentivo inondare di verde, dentro di me. Anche Manhattan mi andò subito a genio. Mi affittai una camera per tre dollari alla settimana, e trovai un lavoro: vendevo spazzole di porta in porta. Tutto quanto mi dava una selvaggia eccitazione. Siccome avevo scritto a Humboldt una lunga lettera, da ammiratore, venni presto invitato a casa sua, per conversare di letteratura, di altre cose elevate. Abitava in Bedford Street, nel Greenwich Village, poco lontano da Chumley’s. Mi offrì del caffè nero e, nella stessa tazza, versò pure del gin. «Mi hai l’aria di un bravo ragazzo, Charlie» mi disse. «Non sarai mica un furbacchione, alle volte? Mi sa tanto che diventerai presto calvo. E che occhi grandi che hai, belli, espressivi! Però senz’altro ami la letteratura, e questo è quel che più conta. Hai sensibilità» mi disse. Era un pioniere, nell’uso di quella parola. Di lì a poco “sensibilità” fece furore. Humboldt fu molto gentile con me. Mi fece conoscere gente del Village, mi procurò libri da recensire. Io gli ho sempre voluto molto bene.

Incipit tratto da:
Titolo: Il dono di Humboldt
Autore: Saul Bellow
Traduzione: Pier Francesco Paolini
Titolo originale: Humboldt’s Gift
Casa editrice: Rizzoli
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Il dono di Humboldt - Saul Bellow

Incipit Humboldt’s Gift

The book of ballads published by Von Humboldt Fleisher in the Thirties was an immediate hit. Humboldt was just what everyone had been waiting for. Out in the Midwest I had certainly been waiting eagerly, I can tell you that. An avant-garde writer, the first of a new generation, he was handsome, fair, large, serious, witty, he was learned. The guy had it all. All the papers reviewed his book.

Incipit tratto da:
Title: Humboldt’s Gift
Author: Saul Bellow
Publisher: Penguin Classics
Language: English

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Quarta di copertina / Trama

«È grosso modo un libro comico sulla morte.» Così lo stesso Saul Bellow ha definito – in un’intervista a Nesweek – il suo ultimo, attesissimo, celebrato e discusso romanzo.
Giunto alla maturità, il protagonista Charles Citrine – coetaneo e in gran parte altar ego dell’autore – si trova sbalzato, da un mondo di quasi-certezza e di quasi-sicurezza (in primo luogo quella offerta dal denaro, « linfa vitale della società » ) in un pantano di dubbi, di rimorsi metafisici e preoccupazioni pratiche. Le sue giornate sono una congerie di buffe assurdità. È attaccato da ogni parte: l’ex moglie lo cita in tribunale per spolparlo, l’amante briga per incastrarlo in una nuova trappola nuziale, il fisco lo tartassa, un amico imbroglione colto e snob lo salassa. Poi ci si mette anche un gangster da quattro soldi – pazzoide ma a suo modo affascinante – a strapazzarlo ben bene, alternando fantasiose minacce a fantastiche proposte. Se il futuro è inquietante, il passato non è meno incerto. È, infatti, soprattutto un ricordo a non dar requie a Citrine: quello del suo amico, poeta dall’esordio folgorante, negli anni Trenta, poi travolto da machiavelliche ambizioni di potere, risucchiato nel gorgo della follia, morto in miseria in uno squallido albergo, abbandonato da tutti, anche – ahilui – dall’amico fraterno Citrine.
Grande, erratica figura – parte genio, parte buffone – il personaggio di Humboldt (già morto da anni all’inizio del romanzo, in cui campeggia con leonina autorità, saturnina malinconia) si ispira al « poeta maledetto » Delmore Schwartz, coro amico di Bellow, tanto scomodo all’establishment in vita quant utile a esso dopo morto. Per placare, appunto, l’inquieto fantasma, Citrine tenta di mettersi in contatto coi defunti e – scartato lo spiritismo, abbracciate le dottrine antropomorfiche – sogna di portar avanti in qualche modo l’opera di Humboldt e, insieme, di scoprire «un modo più corretto di pensare alla morte ».
Pensieri, peraltro, di continuo intralciati da intrusioni e incidenti. Finché Humboldt, dall’oltretomba, beffardo deus ex macchina, non interverrà a mutare nuovamente la sorte dell’amico con un improbabile, patetico dono (che ha tutta l’aria di una burla postuma). Ai colpi di scena, frequenti, talvolta esilaranti, si alternano e si intrecciano quelle che Citrine/Bellow definisce le sue « occasioni mentali ». Se spezzano l’azione, esse vi gettano sprazzi di luce intensa, ora di un fulminante sarcasmo, ora d’una sorniona saggezza, assumendo in alcuni casi l’entità di veri e propri saggi, incorporati nel tessuto narrativo. Ampie riflessioni – come osservava Paolo Milano sull’Espresso – sulla natura dell’America, sul dilemma (valore o potere) dell’intelletuale, sulla noia e sul denaro e soprattutto sulla morte.
Un romanzo « romanzo di idee», è stato giustamente definito. E, a chi l’accusa di prolissità (non senza fondamento; cosa del resto self-ironizzata dallo stesso Citrine nella metafora autolesionistica del suonatore di mandolino « che pizzica ogni nota dieci volte») risponde Richard Rhodes della Chicago Tribune: « The talk is all, and marvelous talk it is » (Il discorso, la chicchera, è tutto e, qui, la chicchera è meravigliosa.
Citrine è stato paragonato (da John Leonard, sulla New York Times Book Review) a una specie di Felix Krull all’incontrario (i truffatori sono tutti gli altri). Ma possiamo anche pensare a un ironico idiota dostoievskiano. Se non sono mancati dissensi ( fra cui quello di John Updike sul New Yorker) la critica anglosassone ha accolto con grande favore, o comunque con enorme attenzione, questo romanzo.
(Ed. Rizzoli; La Scala)