Rosy – Alessandra Carati

Incipit Rosy - Alessandra Carati

Incipit Rosy

Un salotto, un divano a elle bianco, un tappeto con disegni orientaleggianti e sopra il tappeto un tavolino in legno; un mobile marrone con pochi libri, un televisore al centro della parete, tre quadretti appesi e uno appoggiato sopra una mensola; a sinistra del soggiorno, la cucina che comunica con il garage-lavanderia, tutto organizzato in modo meticoloso, quasi professionale; a destra, la camera con un letto matrimoniale in arte povera. Settantacinque metri quadri perfettamente ordinati.
Una donna anziana apre cassetti, ante, rovista nei pensili, nel ripostiglio, negli armadi. A tenerla d’occhio, in piedi sulla porta d’ingresso, una coppia di carabinieri. Lei si affretta, in una grande valigia infila vestiti invernali, scarpe, quello che trova, alla rinfusa, senza guardare. Sa dov’è la roba, eppure non sceglie, il compito che le è stato assegnato la disorienta, o meglio, la disturba. A cosa deve credere? Alle parole che vorticano in paese – diabolici, autismo a due, massacro – o alla confidenza che aveva con loro? Erano i suoi vicini, le regalavano un mucchio di cose, anche se non capiva per quale ragione, per liberarsene o perché erano generosi; soprattutto lei, la moglie.

Incipit tratto da:
Titolo: Rosy
Autrice: Alessandra Carati
Casa editrice: Mondadori

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Rosy - Alessandra Carati

Quarta di copertina / Trama

Nel primo pomeriggio dell’8 gennaio 2007, Rosa Bazzi e Olindo Romano lasciano Erba sui sedili di una volante dei carabinieri. Pensano che gli agenti li stiano portando in salvo dai giornalisti che, dall’alba, assediano la loro casa. In meno di un’ora si trovano dentro il carcere di Como, dove comincia una detenzione destinata a diventare ergastolo, condannati per aver ucciso quattro vicini di casa e averne ferito gravemente un quinto – uno dei più grandi casi di cronaca recente, conosciuto come “la strage di Erba”.
Alessandra Carati incontra Rosa Bazzi per la prima volta all’inizio del 2019. Tra luglio e febbraio dell’anno seguente, le fa visita in carcere ogni settimana in sessioni che durano ore. “Mi sfogo con te come con il prete” le dice la donna, e la travolge con discorsi contraddittori, inattendibili, al limite della comprensibilità. La costringe al suo caos.
L’autrice credeva che conoscerla di persona le avrebbe permesso di separare i fatti dai detti; invece la vicinanza ha offuscato il quadro. Nel tentativo di capire, cerca lo sguardo di chi l’ha frequentata negli ultimi diciassette anni: la psicologa, gli avvocati, e poi il cappellano, il marito Olindo attraverso le lettere che le scrive. Scopre così un’infanzia negletta, il lavoro ancora bambina a servizio delle famiglie dell’Erbese, il matrimonio a vent’anni e la dipendenza da Olindo, il faticoso adattamento alla detenzione.
Solo allora torna in carcere. Rosa però non è conforme a nessun racconto che ne è stato fatto, continua a resistere come un disturbo indecifrabile. È proprio in quel momento, nella rinuncia a ogni immagine di lei – e nella fatale domanda su dove si sono formate queste immagini, a quali condizioni, con quali conseguenze – che affiora, come in una polaroid, Rosy.
(Mondadori)